Società

Finanziarie regionali, lecita l’opzione put con patto parasociale

La Cassazione, sentenza n. 7934 depositata oggi, afferma che è lecito l’accordo con il quale un socio, in occasione del finanziamento, si obbliga a manlevare l’altro dalle conseguenze negative con l’attribuzione del diritto di vendita

di Francesco Machina Grifeo

È lecito il patto parasociale avente ad oggetto l’opzione put. La Cassazione, sentenza n. 7934 depositata oggi, salva così il sistema delle “finanziarie regionali” che supportano le imprese ricorrendo poi a questa via d’uscita. Nel caso affrontato, Filas (Società Finanziaria Laziale di Sviluppo Spa, poi incorporata da Lazio Innova) godeva infatti di un diritto di vendita - c.d. put - della partecipazione detenuta in una srl, con corrispondente obbligo di acquisto da parte degli altri soci. La previsione, regolata tramite patti parasociali, chiarisce la Suprema corte, non contrasta col divieto del patto commissorio (previsto dal codice civile) ed è coerente con la finalità pubblicistica delle finanziarie.

Respinto dunque (sotto questo profilo) il ricorso di un socio secondo il quale in tal modo si consentiva, a uno degli altri soci, di sottrarre il proprio conferimento al rischio derivante dalla gestione dell’attività sociale. Confermata la lettura della Corte di appello secondo cui la “temporaneità della partecipazione” era finalizzata al perseguimento di “interessi meritevoli di tutela” che costituivano “la ragione ultima della istituzione delle finanziarie regionali, il cui apporto di denaro in prevalenza pubblico è statutariamente volto a sostenere le imprese”.

Tirando le fila della questione, la Prima sezione civile afferma che l’assunto dell’illiceità, per contrarietà al divieto del patto leonino, della cosiddetta opzione put si scontra con l’affermazione per cui “è lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società”.

Mentre, prosegue, la deduzione della nullità dell’opzione put in quanto elusiva della prohibitio dettata dall’articolo 2744 c.c. “mostra, poi, di non misurarsi con la pronuncia impugnata, la quale, sul punto, ha rilevato non potersi dibattere di violazione del patto commissorio ove il diritto di riscatto sia attribuito al venditore, non già all’acquirente”.

E, se è pur vero che il divieto di patto commissorio si estende a qualsiasi negozio che venga utilizzato per conseguire il risultato concreto vietato dall’ordinamento, “un problema di compatibilità dell’opzione put col divieto di patto commissorio può porsi in una prospettiva per così dire rovesciata rispetto a quella comunemente assunta per valutare la conciliabilità della stessa col divieto del patto leonino”. “Tale prospettiva è segnata dalla concreta presenza di una volontà negoziale diretta a impiegare il patto parasociale per accordare al socio finanziatore una garanzia atipica, consistente nel consolidamento dell’effetto dell’acquisto della partecipazione azionaria: volontà che potrebbe ipotizzarsi muovendo dalla considerazione che al titolare dell’opzione put è sostanzialmente accordato il diritto di valersi, ma anche di non valersi, del diritto di uscita”. Si tratta però, conclude sul punto la Corte, di un profilo che non è stato “nemmeno allegato nella presente sede, ove il tema della compatibilità dell’opzione put col divieto di cui all’art. 2744 c.c. risulta declinato in termini del tutto astratti”.

Infine, accogliendo il secondo motivo di ricorso, la Cassazione afferma che la pronuncia impugnata reca un contrasto tra la motivazione, ove si dà atto di un pagamento, riconosciuto da FILAS e il dispositivo, che di fatto lo ignora. Ed aggiunge che “la parte condannata al pagamento di una somma ha un sicuro interesse a che il giudice di appello dia atto del pagamento intervenuto in pendenza del giudizio di gravame, onde impedire che si formi, in proprio danno, un titolo esecutivo giudiziale, non opponibile ex art. 615 c.p.c., per un importo superiore rispetto a quello di cui egli è realmente ancora debitore”.

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