Comunitario e Internazionale

Foreign Subsidies Regulation, acquisizioni e appalti solo con dichiarazione sui contributi extra-UE

La nozione di contributi finanziari è estremamente ampia: non è improbabile che anche imprese poco sofisticate, ma con vendite al di fuori dell’Unione europea, li abbiano ricevuti

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di Francesco Iodice*

Circa sei mesi fa, è entrato in vigore il regolamento (UE) 2022/2560, meglio noto come Foreign Subsidies Regulation . Benché se ne sia già molto parlato, il suo concreto impatto per l’attività ordinaria di molte imprese, anche italiane, rischia di essere stato sottostimato. Per le aziende che non siano preparate, ciò potrebbe avere gravi conseguenze sulle loro operatività e prospettive.

In estrema sintesi, il regolamento richiede che per acquisizioni e appalti pubblici di una certa dimensione sia necessario presentare una notifica alla Commissione europea allo scopo di ottenerne l’autorizzazione, se l’acquirente o l’appaltatore nei tre anni precedenti hanno ricevuto contributi finanziari oltre un certo importo da parte di governi non europei.

Il regolamento non si applica solo alle acquisizioni societarie, per definizione operazioni “straordinarie e per le quali è dunque lecito assumere che se ne debbano preoccupare, almeno in prima battuta, solo le imprese che intendano crescere tramite integrazione di altre imprese. In questi casi, occorre che il fatturato europeo della target sia almeno pari a 500 milioni di euro e che l’investitore e la target abbiano ricevuto contributi finanziari pari ad almeno 50 milioni di euro nel triennio precedente. 

È la seconda tipologia di operazioni rilevanti ad avere un impatto molto più significativo sull’attività ordinaria delle imprese italiane, anche a controllo puramente nazionale. È infatti sufficiente che un’impresa partecipi a un appalto pubblico, indetto da qualunque amministrazione di un Paese della UE, di valore almeno pari a 250 milioni di euro per far sì che essa debba effettuare gravose verifiche interne richieste per dichiarare eventuali contributi finanziari extra-europei. 

Infatti, sebbene il regolamento si applichi solo nel caso in cui l’impresa appaltatrice abbia ricevuto nel triennio precedente tali contributi in misura almeno pari a 4 milioni di euro (soglia comunque particolarmente bassa), in pratica essa è sempre tenuta a dichiarare formalmente alla Commissione se versi o meno in tale condizione. Ciò che necessariamente comporta una previa accurata indagine interna, onde assicurarsi di non riportare informazioni inesatte o incomplete.

Non solo, ma l’obbligo sussiste anche nel caso in cui all’appalto partecipi un raggruppamento di imprese (ad esempio in forma di RTI ). Così, pure imprese di ridotte dimensioni, associandosi ad altre proprio allo scopo di partecipare a un appalto altrimenti troppo grande, finiscono per trovarsi soggette al regolamento.

Ma soprattutto, la nozione di contributi finanziari è estremamente ampia e dunque non è improbabile che anche imprese poco sofisticate ma con vendite al di fuori dell’Unione europea li abbiano ricevuti. Il concetto di “ contributo finanziario ” infatti non si limita ad eventuali sovvenzioni, finanziamenti o altre agevolazioni, ma comprende la mera fornitura di prodotti o servizi a governi extra-europei o imprese da essi controllate, e ciò a prescindere dal fatto che siano a condizioni di mercato o meno (ciò che invece può avere un rilievo ai fini del contenuto della notifica alla Commissione europea e la successiva indagine di quest’ultima).

A ciò si aggiunga che, nel contesto di una gara pubblica, i tempi spesso sono ridotti e comunque dettati dall’amministrazione pubblica e non rimessi alla volontà delle parti private. Le imprese che non abbiano svolto una previa due diligence interna per verificare eventuali contributi finanziari nel triennio precedente potrebbero dunque rischiare di non partecipare alla gara o esserne successivamente escluse.

In concreto, l’indagine interna di identificazione dei contributi finanziari può risultare assai complicata, sia per l’ampiezza della nozione di contributo finanziario, sia perché la tipologia di informazioni richieste dalla Commissione, così come la verifica dell’applicabilità delle numerose esenzioni, richiedono un esame approfondito e un’organizzazione interna, documentale e non solo, particolarmente efficiente e strutturata.

Evidentemente, soprattutto lo sforzo iniziale comporta un significativo investimento che potrebbe tuttavia rivelarsi essenziale per quelle imprese che fanno della fornitura di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni la propria attività caratteristica. Specie in tempi di PNRR, farsi trovare preparati potrebbe costituire un requisito per rimanere sul mercato e farlo in modo competitivo. Le imprese italiane sono pronte?

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*A cura dell’Avv. Francesco Iodice – Studio Cleary Gottlieb

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