Lavoro

Fornero e Jobs act: il lavoro ha perso "stabilità", la prescrizione dei crediti decorre dalla fine del rapporto

Per i giudici di legittimità, sentenza del 6 settembre scorso n. 26246, con la riforma Fornero e il Jobs act il rapporto di lavoro ha perso la sua natura stabile per cui la prescrizione non decorre

di Francesco Machina Grifeo

Importante decisione della Suprema corte in materia di prescrizione dei crediti retributivi. Per i giudici di legittimità, sentenza n. 26246 del 6 settembre scorso, con la riforma Fornero e Jobs act il rapporto di lavoro a tempo indeterminato ha perso quel carattere di stabilità che permetteva la decorrenza della prescrizione anche nel corso dello svolgimento del medesimo, ragion per cui il termine deve decorrere dalla cessazione del rapporto.

La Corte d'appello di Brescia invece aveva respinto il ricorso di due lavoratrici del settore alimentare che chiedevano la liquidazione delle differenze retributive loro spettanti per il lavoro straordinario notturno, in quanto ormai eccedenti la prescrizione quinquennale. Diversamente dalla Cassazione, infatti, i giudici di merito avevano ritenuto che sia la legge n. 92/2012 che il Dlgs n. 23/2015 non avessero intaccato la permanenza della "stabilità reale" del rapporto di lavoro. Le riforme del lavoro infatti non potevano ritenersi tali da porre il dipendente in una condizione psicologica di timore (metus), tale da indurlo a non avanzare pretese retributive nel corso del rapporto. Resta infatti, argomentava la Corte territorialie, una tutela ripristinatoria piena, in caso di licenziamento "per ritorsione, e dunque discriminatorio", ovvero per motivo illecito determinante. Mentre era da considerarsi irrilevante l'attenuazione della tutela per un licenziamento fondato su ragioni (giusta causa o giustificato motivo, oggettivi e sussistenti) estranee alle suddette rivendicazioni retributive.

Al contrario, per la Sezione lavoro della Cassazione "non è dubbio che le modifiche dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 abbiano comportato il passaggio da un'automatica applicazione ad ogni ipotesi di illegittimità del licenziamento della tutela reintegratoria e risarcitoria in misura predeterminabile con certezza ad un'applicazione selettiva delle tutele, in esito alla scansione delle due diverse fasi di qualificazione della fattispecie (di accertamento di legittimità o illegittimità del licenziamento intimato e della sua natura) e di scelta della sanzione applicabile (reintegratoria e risarcitoria ovvero soltanto risarcitoria), con una sua diversa commisurazione (se in misura cd. "piena" o "forte", ovvero "attenuata" o "debole") assolutamente inedita".

Non solo, bisogna prendere atto, continua la Cassazione, che la tutela reintegratoria rispetto alla tutela indennitaria "abbia ormai un carattere recessivo". E le recenti pronunce demolitorie della Corte costituzionale "hanno certamente esteso le ipotesi in cui può essere disposta la reintegrazione, ma non hanno reso quest'ultima la forma ordinaria di tutela contro ogni forma illegittima di risoluzione". Anzi, prosegue, hanno confermato l'adeguatezza dell'indennità risarcitoria "quale legittimo ed efficace rimedio a protezione del lavoratore nelle ipotesi di illegittimità del licenziamento previste dal legislatore".

Si deve dunque constatareche l'attuale quadro normativo non assicura più "l'essenziale dato di stabilità del rapporto nella tutela reintegratoria esclusiva dell'art. 18 l. 300/1970".

"Sicché – continua la decisione -, deve essere ribadito che la prescrizione decorra, in corso di rapporto, esclusivamente quando la reintegrazione, non soltanto sia, ma appaia la sanzione 'contro ogni illegittima risoluzione' nel corso dello svolgimento in fatto del rapporto stesso: così come accade per i lavoratori pubblici e come era nel vigore del testo dell'art. 18, anteriore alla legge n. 92 del 2012".

E soltanto a questa condizione, ed è un altro passaggio chiave e molto forte della Cassazione, può essere collegata l'assenza di metus del lavoratore per la sorte del rapporto di lavoro ove egli intenda far valere un proprio credito.

In via conclusiva, per la Suprema corte va escluso "per la mancanza dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e soprattutto di una loro tutela adeguata, che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, sia assistito da un regime di stabilità".

Da qui l'enunciazione del seguente principio di diritto: "Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro".

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