Penale

Frode, la responsabilità grava anche sul rappresentante fiscale di società estere

L'assunzione di responsabilità deriva direttamente dall'accettazione della nomina e dagli obblighi specifici che da essa derivano (Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sentenza n. 3325 del 31/01/2022)

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di Paolo Comuzzi

Con la sentenza che qui si commenta ( decisione 3325/2022 della sezione III ) la Corte di Cassazione prende in esame il problema della responsabilità penale del rappresentante fiscale in Italia di una società estera (quella tributaria e amministrativa è molto chiara come indicato nella decisione stessa).

La persona condannata ricorreva in Cassazione sostenendo che detta condanna era da considerarsi ingiusta in quanto "… il primo Giudice lo aveva condannato, a titolo di concorso nella qualità di rappresentante fiscale in Italia, sul rilievo che la carica ricoperta attribuisse al rappresentante fiscale doveri di vigilanza e controllo il cui mancato rispetto avrebbe comportato la responsabilità a titolo di dolo generico o eventuale …".

Sempre il ricorrente proseguiva facendo notare che secondo lui "… la Corte d'appello si sarebbe limitata a citare una sentenza di legittimità (la n. 26356 del 2014) secondo la quale il rappresentante fiscale in Italia di società estera sarebbe responsabile solidalmente anche qualora non partecipasse attivamente alla ‘governance della società, trovando la sanzione penale applicazione nei confronti di chiunque, pur essendovi obbligato, non provvedesse al versamento dell'IVA e concludendo che, pertanto, il reato fosse, nel caso di specie, attribuibile al rappresentante fiscale della [omissis] in Italia …".

Fatto presente quanto sopra egli concludeva il suo ricorso statuendo che "… l'evasione in oggetto si sarebbe concretizzata non già mediante una condotta omissiva (ad es. mancata indicazione di ricavi), ma attraverso la condotta attiva di allegazione delle spese attestate da documentazione apparentemente regolare, e rivelatasi falsa solo a seguito di apposita indagine della Guardia di finanza. Ne consegue che, per potersi addebitare al rappresentante fiscale in Italia il necessario dolo di concorso nell'evasione altrui, occorreva stabilire se costui, al momento di esibire le fatture fornitegli da altro soggetto, fosse stato consapevole o meno della loro falsità …".

La Corte di Cassazione in una lunga ed articolata decisione respinge il ricorso e mette in evidenza alcuni punti importanti.

Il primo di questi punti (posto a conclusione di un ampio excursus sulla figura del rappresentante fiscale) porta alla conclusione che "…il rappresentante fiscale, agendo in qualità di mandatario del soggetto non residente, è responsabile con quest'ultimo per eventuali irregolarità commesse nei confronti dell'Erario (art. 17, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972). Questo tipo di responsabilità (solidale) del rappresentante fiscale non può ovviamente essere automaticamente traslata nel campo penale , il quale esclude il ricorso a forme di responsabilità indirette o oggettive …".

Il secondo punto di interesse è che se è vera l'affermazione del Tribunale secondo cui "…il rappresentante fiscale di una società estera risponde del reato di dichiarazione fraudolenta quale diretto destinatario degli obblighi di legge in materia IVA, atteso che la carica ricoperta attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale a titolo di dolo eventuale …" altrettanto vero è che il nostro rappresentante fiscale aveva numerosi elementi per dubitare della veridicità di alcune fatture inserite nella contabilità e quindi la condanna non è per una responsabilità oggettiva ma per un vero e proprio concorso nel reato.

Infatti la decisione della Cassazione afferma in modo chiaro che "… la responsabilità del rappresentante fiscale, lungi dall'essere stata attribuita a titolo di responsabilità oggettiva, risulta ancorata, nel caso in esame, a condotte (attive) proprie del ricorrente, che ha, secondo i giudici di merito, personalmente e direttamente violato gli obblighi su di lui gravanti, nella misura in cui gli erano stati forniti dati (fraudolenti) dei quali egli conosceva o avrebbe dovuto conoscere la non veridicità, che era evincibile anche dal mero esame formale dei documenti indicati (dal ricorrente) nella dichiarazione fiscale …".

Infine, terzo punto di interesse, la Cassazione giunge a concludere che "… l'obiezione del ricorrente, secondo la quale la falsità delle fatture fosse emersa solo a seguito dell'accertamento della Guardia di finanza, è comunque priva di fondamento ai fini del formulato giudizio di colpevolezza, con la conseguenza che la responsabilità, anche penale, del rappresentante fiscale di società estere discende dagli obblighi cui lo stesso è tenuto ai sensi della normativa in materia di imposta sul valore aggiunto (art.17 del d.P.R. n. 633 del 1972), essendo del tutto irrilevante il fatto che egli non svolga alcuna attività nella società, né sia ingerito nella gestione della stessa, dal momento che l'assunzione di responsabilità deriva direttamente dall'accettazione della nomina e dagli obblighi specifici che da essa derivano (= registrazione delle operazioni nei registri IVA; detrazione e rimborso dell'imposta; dichiarazione annuale IVA; liquidazioni periodiche IVA) …".

Una decisione che a mio avviso deve essere presa in considerazione nel momento in cui si accetta la carica di rappresentante fiscale e che pone sullo stesso dei precisi obblighi di controllo in merito alla attività del rappresentato.

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