Futili motivi, se il movente della gelosia è espressione di possesso e intento punitivo
L’aggravante si sostanzia nell’abnormità dello stimolo a considerare il coniuge “cosa propria” e nello spirito di punire la condotta dell’altro che venga percepita come insubordinazione rispetto al volere dell’agente
Il movente della gelosia può determinare la sussistenza della circostanza aggravante comune dei futili motivi, se essa è espressione di un abnorme stimolo possessivo e il reato viene commesso quale punizione di quello che viene percepito come atto di insubordinazione della persona con cui intrattiene una relazione sentimentale.
Così, con la sentenza n. 41873/2024, la Corte di cassazione ha respinto uno dei motivi con cui il ricorrente contestava l’applicazione dell’aggravante comune prevista al n. 1 dell’articolo 61 del Codice penale. La difesa sosteneva, infatti, che l’impeto della gelosia dell’imputato - condannato per stalking contro la moglie e per l’omicidio del nuovo compagno di lei - non fosse abnorme e che non vi fosse intento di punire la moglie, ormai ex, ma che l’agente riteneva infedele anche durante il matrimonio.
La prova, invece, valorizzata dai giudici per la contestazione dell’aggravante derivava tra l’altro dall’espressione “bastardo ti sei divertito” rivolta alla vittima dell’azione omicidiaria. Inoltre, era emersa la frustrazione del ricorrente che si riteneva colpito nella propria autostima avendo mostrato risentimento e rabbia per le attenzioni pregresse che l’allora moglie aveva già rivolto verso la vittima. Ciò che, nella logica dell’imputato, provava che ella l’avesse tradito ancor prima della rivelazione della sua nuova relazione sentimentale con l’altro uomo. Pensieri ossessivi manifestatisi con i pedinamenti dei due amanti e rivelatori tanto dell’abnorme istinto di possesso del ricorrente quanto del suo intento punitivo verso la ex che amava un altro.
La Suprema Corte ha respinto l’ultimo argomento difensivo secondo cui l’aggravante dell’aver agito per futili o abietti motivi non fosse legittimamente contestabile, senza aver dato rilievo al profilo soggettivo e alla provenienza culturale dell’uomo stalker e omicida. Rilevanza che ormai la giurisprudenza tende normalmente a negare.