Civile

Gestione patrimoniale: no al ristoro per il "modesto" scostamento negativo sul benchmark (-5% medio annuo)

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 25343 depositata oggi

di Francesco Machina Grifeo

In un contratto di gestione patrimoniale, una perdita media annua del 5% rispetto al benchmark non integra mala gestio da parte dell'intermediario. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 25343 depositata oggi, respingendo il ricorso degli eredi di un risparmiatore nei confronti di una società di investimento. Secondo i ricorrenti invece vi sarebbe stata una violazione sia del Tuf che del Regolamento Consob sugli intermediari in relazione alla inosservanza del "benchmark" evincibile dal "solo scostamento - in negativo, nella misura dello 5,04% annuo medio, nel periodo 2000/2004 - della gestione dal parametro di riferimento".

La Suprema corte ricorda il regolamento Consob n. 11522 del 1998 (applicabile ratione temporis), impone all'intermediario di indicare all'investitore un "parametro oggettivo" di riferimento che sia coerente con i rischi" scelti per la gestione. E la giurisprudenza di legittimità ha rinforzato il concetto affermando che «il benchmark, cioè la linea d'investimento prescelta dal cliente, importa la costituzione di obblighi di condotta da parte del gestore, rappresentando un parametro di riferimento coerente con i rischi della gestione, al quale devono essere commisurati i risultati di queste» (n. 23568/2020).

Così ricostruito il quadro, la Prima sezione civile ha affermato che, in un caso come quello in esame, in cui "non vi è stata alterazione della concordata composizione del portafoglio titoli, affinché sia effettivamente configurabile una mala gestio da parte del gestore, per asseriti risultati negativi della gestione, non è sufficiente il mero scostamento dal benchmark prescelto (altrimenti ricorrendo un'ipotesi di responsabilità sostanzialmente oggettiva), dovendosi, invece valutare pure le ragioni di detto scostamento al fine di individuare eventuali, concreti profili di negligenza e/o imprudenza e/o imperizia del gestore medesimo, che, peraltro, possono essere rivelati anche dall'entità dello scostamento stesso".

E riguardo le ragioni, la Corte di merito ha sottolineato il ruolo attivo dell'investitore che "era solito intervenire nella allocazione degli investimenti mediante il rilascio di istruzioni particolari che anticipavano o si sovrapponevano alle strategia adottate dalla società di investimenti".

Per la Cassazione dunque la Corte territoriale ha correttamente accertato che "le indicazioni impartite dall'investitore quanto alle proporzioni tra le categorie di titoli destinate a caratterizzare il suo patrimonio affidato in gestione erano state rispettate" ed ha ritenuto che "il risultato delle gestioni fosse in linea anche con il benchmark di riferimento", valutando lo scostamento del 5,04 % annuo medio, in negativo, per 5 anni, dal 2000 al 2004, come modesto, sicché non significativo, di per sé, di colpa.

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