Penale

Gli squilli di telefono ripetuti nella giornata equivalgono al reato di molestia

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di Andrea Alberto Moramarco

Le chiamate telefoniche verso un numero fisso di un'abitazione consistenti in semplici squilli o conversazioni di brevissima durata, e non in telefonate vere e proprie, se ripetuti nell'arco della stessa giornata rappresentano il segno evidente della volontà di colui che chiama di arrecare fastidio a chi riceve le telefonate. In questo caso è configurabile il reato di molestia previsto dall'articolo 660 del Cp. Questo è quanto emerge dalla sentenza del Tribunale di Taranto 154/2015.

Il caso - La vicenda, alquanto singolare, vede come protagonisti due inquilini di uno stabile condominiale i cui rispettivi appartamenti erano collocati su piani diversi. Il condomino del piano superiore in alcuni giorni nell'arco di qualche mese riceveva delle brevi e ripetute telefonate anonime, consistenti perlopiù in squilli o chiamate di pochi secondi. Infastidito da tale comportamento, aveva sporto denuncia e dai tabulati telefonici era emerso che le chiamate provenivano dal condomino che abitava al piano inferiore. Quest'ultimo, tratto a giudizio, si era giustificato dicendo che quelle telefonate erano state effettuate per rappresentare alla famiglia che abitava nell'appartamento al piano superiore tutto il disagio subito da sé e la sua famiglia per i rumori continui che erano costretti a subire per via delle feste che i vicini organizzavano in casa loro sia di giorno che di notte «ospitando sino a 20 persone alla volta le quali, con scarpe spesso fornite di tacchi, cagionavano notevole rumore». A ciò si aggiunga che tra le due famiglie già non intercorrevano buoni rapporti, date le precedenti reciproche denunce per ingiuria e minaccia.

Le motivazioni - Il Tribunale ritiene che il comportamento dell'imputato integri gli estremi del reato di molestia. Per il giudice il punto fondamentale della questione non è quello di capire se i rumori lamentati siano stati o meno reali, bensì quello di appurare se le chiamate fatte dall'imputato siano state effettuate per far cessare i comportamenti rumorosi o per arrecare fastidio all'altro condomino. E analizzando i tabulati telefonici, che testimoniavano ripetute e brevi telefonate in ore notturne e diurne, come ad esempio alle due di notte e alle sette del mattino seguente, il giudice ritiene pretestuosa la giustificazione dell'imputato e chiara la sua volontà di arrecare fastidio.

Tale condotta configura quella del reato di cui all'articolo 660 del Cp, in quanto questa non è necessariamente abituale potendo essere realizzata anche con una sola azione di disturbo, la quale sia caratterizza da petulanza, ovvero « quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà della persona offesa».

Tribunale di Taranto - Sezione I penale - Sentenza 26 gennaio 2015 n. 154

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