Civile

Gratuito patrocinio, nessuno “sconto” per le spese di lite della controparte soccombente

Lo ha chiarito la Corte costituzionale, sentenza n. 64 del 2024 depositata oggi, dichiarando non fondate le questioni di legittimità dell’articolo 133, comma 1, del Dpr n. 115 del 2002

di Francesco Machina Grifeo

La quantificazione delle spese di lite non subisce deroghe nel «caso particolare in cui la parte vittoriosa è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato»; infatti anche in tal caso il giudice civile «applica gli ordinari criteri di liquidazione», pure se lo Stato corrisponde al difensore del non abbiente un compenso dimezzato.

Lo ha deciso la Corte costituzionale, sentenza n. 64 del 2024 depositata oggi, dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’articolo 133, comma 1, del Dpr n. 115 del 2002.

La disposizione stabilisce che «[i]l provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio [a spese dello Stato] la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato». E viene censurata nella parte in cui, secondo l’interpretazione datane dal diritto vivente, prevede che, qualora risulti vittoriosa la parte non abbiente ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, il giudice civile quantifichi le spese processuali dovute a quest’ultimo dal soccombente «secondo i criteri ordinari, in misura piena e quindi superiore rispetto a quella dei compensi dovuti dallo Stato [stesso] al difensore del non abbiente».

Il caso di partenza riguardava un ricorso per l’annullamento di una cartella esattoriale emessa per la riscossione di un credito vantato dall’Inail. Il giudice rimettente è chiamato a regolare le spese processuali, ponendole a carico dell’Istituto resistente secondo il principio della soccombenza e disponendone il pagamento a favore dello Stato, poiché la parte vittoriosa è stata ammessa al suddetto beneficio. In tal modo però, osserva nell’ordinanza di rinvio, l’obbligo del pagamento di una somma, «corrispondente al valore “pieno” degli onorari», superiore a quella dovuta dallo Stato al difensore della parte non abbiente costituirebbe, per la differenza tra i due importi, un «prelievo coattivo», traducendosi in una obbligazione di natura tributaria

Un ragionamento bocciato dalla Consulta. La sentenza precisa che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato fa sorgere un rapporto che si instaura direttamente tra lo Stato stesso e il difensore del beneficiario del patrocinio. A tale rapporto «le parti del giudizio rimangono totalmente estranee»: l’applicazione dei normali criteri di liquidazione pertanto non si traduce, per il soccombente, in una «ulteriore effettiva decurtazione» patrimoniale rispetto a quella avrebbe subito ove la controparte non fosse stata indigente.

Ragionando diversamente, del resto, si perverrebbe al risultato di «garantire un ingiustificato vantaggio patrimoniale alla parte soccombente solo perché la controparte rientra fra gli indigenti e lo Stato si fa carico, anche attraverso la fiscalità generale, dell’onere del loro patrocinio».

Disattese dunque le censure per le quali, per effetto della disposizione censurata, il soccombente subirebbe un «prelievo coattivo» di natura tributaria. La sentenza ha anche escluso la violazione dell’articolo 76 Cost. per eccesso di delega.

La disposizione censurata non ha, infatti, «carattere realmente innovativo rispetto al quadro normativo previgente»; nella redazione del testo unico, pertanto, il Governo ha rispettato il criterio direttivo del coordinamento formale delle norme oggetto del riordino delegatogli.

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