I documenti prodotti vanno allegati online in modo ordinato
I file vanno elencati in un indice e numerati in modo corrispondente
La produzione telematica dei documenti di parte deve avvenire in modo ordinato, per permettere al giudice e agli altri soggetti del processo di individuarli facilmente. E chi non rispetta questa regola rischia di vedersi respingere la domanda (o l’eccezione) per non aver provato le proprie deduzioni. È quanto emerge dalla sentenza 1288/2023 del Tribunale di Napoli (giudice Cataldi).
La pronuncia chiude un giudizio di opposizione all’esecuzione (articolo 615 Codice di procedura civile), in cui l’attore aveva chiesto di annullare un’intimazione di pagamento, eccependo la prescrizione dei crediti per omessa notifica delle cartelle. Mentre l’agente della riscossione aveva domandato di respingere l’istanza, sostenendo che le cartelle erano state notificate prima del decorso del termine di prescrizione.
Nell’accogliere l’opposizione, il giudice rileva che l’agente della riscossione menziona, nella comparsa di costituzione, numerosi atti con l’indicazione delle date in cui sarebbero stati notificati. Tuttavia, manca «un riferimento puntuale ai singoli documenti prodotti che possa consentirne un agevole riscontro» e all’interno dei Pdf erano contenuti «più documenti (tutti privi di denominazione identificativa), il più delle volte caricati anche con differenti angolazioni», sicché per leggerli sarebbe stato «necessario un continuo cambio di visualizzazione attraverso la rotazione di ciascuno dei fogli di cui si compongono».
Secondo il tribunale, questo modo di procedere «rende impossibile la consultazione» e non permette al giudice di ricercare i documenti «che possano, eventualmente, sorreggere le affermazioni difensive».
Peraltro, l’articolo 74 delle disposizioni per l’attuazione del Codice di procedura civile stabilisce che i documenti di causa vanno inseriti in sezioni separate del fascicolo di parte e riportati nell’indice. Sebbene la norma sia stata scritta quando il fascicolo era cartaceo, l’esigenza di chiarezza e ordine «è oggi ulteriormente rafforzata dalla smaterializzazione» degli atti e dalla maggior difficoltà della loro consultazione.
Dunque, anche nell’era del processo civile telematico, i documenti devono essere elencati in un indice, con numerazione corrispondente a quella che designa ciascun atto informatico che la parte intenda usare come mezzo di prova. La mera produzione di numerosi file «non può ritenersi adeguata e corretta, e non può costringere giudice e controparti a una “ricerca” finalizzata all’eventuale individuazione di ciò che possa confermare o smentire le affermazioni della parte».
Non si tratta di «risolvere in modo veloce e in rito una controversia che, altrimenti, richiederebbe (com’è doveroso) un faticoso riscontro di circostanze comunque allegate»; piuttosto, si deve prendere atto del vano (e «frustrante») tentativo «di ricondurre coerentemente quei documenti (…) alle difese svolte». La sentenza ricorda che già la Cassazione (ordinanza 19006/2022) aveva chiarito che il giudice deve decidere sulla base della documentazione prodotta, richiamata dalla parte negli atti difensivi a sostegno dei propri assunti e ordinatamente contenuta nel fascicolo di parte dalla stessa formato; dunque, non rientra tra i compiti del magistrato «anche quello di “trovare” la documentazione che non si rinvenga sotto i numeri dell’indice che la indicano» quando il fascicolo di parte sia «disordinatamente tenuto e confusamente composto», oppure l’indice si limiti a rinviare indistintamente a tutti i documenti raccolti all’interno di un supporto informatico, senza esplicitare il contenuto e la rilevanza di ciascuno di essi nei modi prescritti dalla disciplina del Codice di rito.
Così il tribunale, ritenuta insussistente la prova di atti interruttivi, ha dichiarato prescritti i crediti.