Penale

I Lavori di Pubblica Utilità disciplinati dalla Riforma Cartabia: analisi del nuovo istituto

Un istituto non nuovo al nostro ordinamento ma che è stato rimodulato dalla riforma Cartabia al pari delle altre cosiddette “pene sostitutive” delle pene detentive brevi, introdotte dal nuovo art. 20-bis del Codice Penale e disciplinate dagli artt. 53 e ss. della Legge 689/1981

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di Francesco Bico e Jacopo Campiglio*

Alcuni recenti fatti di cronaca che hanno scosso il mondo della politica hanno permesso di portare alla luce le prime applicazioni “concrete” di un istituto sul quale la Riforma Cartabia ha dichiaratamente deciso di puntare, facendone uno dei “perni” della novella legislativa.

Alcuni mesi fa, infatti, ha avuto parecchia risonanza, sulle testate giornalistiche, la notizia di un noto uomo politico il quale ha deciso di richiedere la conversione” della pena della reclusione – antecedentemente concordata con la Procura - in “Lavori di Pubblica Utilità” (LPU).

Si tratta di un istituto non nuovo al nostro ordinamento ma che è stato rimodulato dalla riforma Cartabia al pari delle altre cosiddette “pene sostitutive” delle pene detentive brevi, introdotte dal nuovo art. 20-bis del Codice Penale e disciplinate dagli artt. 53 e ss. della Legge 689/1981: la semilibertà, la detenzione domiciliare, la pena pecuniaria e, appunto, i Lavori di Pubblica Utilità.

Trattandosi di un istituto che presenta caratteristiche assai differenti rispetto alle altre forme di LPU già previste dal nostro ordinamento, si ritiene utile fornire qualche spunto di riflessione che contribuisca a fare un po’ di chiarezza su quelli che sono i limiti applicativi della nuova disciplina, e, soprattutto, sui i pro e i contro legati alla scelta di accedere a tale istituto.

Come detto, le “pene sostitutive” hanno rappresentato un vero e proprio “cavallo di battaglia” della Riforma Cartabia, con il dichiarato obiettivo di porre fine all’annoso problema dei condannati in via definitiva che attendono per anni (in libertà) l’ammissione alle misure alternative alla detenzione (c.d. “liberi sospesi”).

All’interno di tali “pene sostitutive”, destinati a recitare un indubbio ruolo da protagonisti sono sicuramente i LPU.

Tale pena, come anticipato, già prima della Riforma Cartabia, pur diversamente regolamentata trovava (e trova) amplissima diffusione nei casi di guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di stupefacenti (art. 186, comma 9-bis Codice della Strada) e di modeste cessioni di stupefacenti (art. 73, comma 5-bis T.U. Stupefacenti).

Tuttavia, è di fondamentale importanza sgombrare fin da subito il campo da un pericoloso equivoco che rischia di diffondersi anche tra gli addetti ai lavori.

I LPU introdotti dalla Riforma Cartabia, infatti, pur assomigliando, nella sostanza, a quelli “settoriali” già conosciuti al nostro ordinamento e riservati a specifiche ipotesi di reato, non sono del tutto sovrapponibili a questi.

Molteplici sono, difatti, le differenze tra i due istituti sotto svariati punti di vista.

In primo luogo, pur trattandosi, sostanzialmente, sempre di attività resa a titolo gratuito in favore della collettività, i LPU introdotti dalla Riforma Cartabia si distinguono da quelli già noti al legislatore italiano, innanzitutto, per un’applicazione decisamente più generalizzata.

Se dapprima, come si è detto, tale istituto trovava applicazione in limitate ipotesi di reato, con la riforma Cartabia l’art. 53 della L. 689/1981 prevede oggi la possibilità di convertire in LPU pene fino ai 3 anni di reclusione.

Sussistono, comunque, limitate ipotesi di esclusione dalla possibilità di convertire la pena in LPU (disciplinate oggi dall’art. 59 della L. 689/1981), tra cui merita di essere segnalata, senz’altro, l’essere imputati per uno dei reati ostativi previsti dall’art. 4-bis L. 354/1975 (salva, per quanto riguarda i reati contro la Pubblica Amministrazione la ricorrenza della circostanza attenuante della collaborazione di cui all’art. 323-bis, co. II, c.p.).

Ciò che però riveste particolare importanza, soprattutto da un punto di vista applicativo, sono le non indifferenti limitazioni alla libertà personale che, a differenza di quanto previsto per le altre forme di LPU, lo svolgimento dei LPU “Cartabia invece comporta.

L’art. 56-ter della L.689/1981, introdotto ex-novo dalla Riforma Cartabia, prevede infatti che le pene sostitutive siano accompagnate, in ogni caso, da alcune prescrizioni decisamente limitanti per il condannato, tra cui si segnalano, a titolo esemplificativo, l’obbligo di permanere nell’ambito territoriale (di regola) regionale e il ritiro del passaporto.

Oltre a ciò, nella scelta di richiedere l’applicazione della pena sostitutiva (che può essere irrogata solo su richiesta del condannato) massima attenzione deve essere posta agli “strascichi” che una condanna convertita in LPU “Cartabia” può comportare.

A differenza di quanto previsto, per esempio, dal Codice della Strada per i casi in guida in stato di ebbrezza - ove l’esecuzione positiva dei LPU comporta, tra gli altri effetti, l’estinzione del reato, permettendo al condannato di mantenere formalmente lo status di “incensuratola positiva esecuzione degli LPU “Cartabia” non comporta tale (appetibile) effetto per l’imputato.

Altri aspetti che devono essere ponderati attentamente nella scelta di accedere a tale istituto sono certamente l’inappellabilità ex art. 593, co. III c.p.p. delle sentenze di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità e l’impossibilità che le stesse possano essere oggetto di sospensione condizionale.

Per quanto riguarda invece gli aspetti “positivi legati all’istituto, va ricordato come, ai sensi dell’art. 56-bis L. 689/1981, laddove i LPU siano frutto di una pena concordata o siano irrogati a seguito di decreto penale di condanna, il loro positivo svolgimento – se accompagnato dal risarcimento del danno o dalla eliminazione delle conseguenze dannose del reato, ove possibili, comporta la revoca della confisca eventualmente disposta, salvi i casi di confisca obbligatoria, anche per equivalente, del prezzo, del profitto o del prodotto del reato ovvero delle cose la cui fabbricazione, uso e porto, detenzione o alienazione costituiscano reato.

In conclusione, in attesa che la prassi giudiziaria fornisca ulteriori esempi di applicazione di tale pena sostitutiva, è evidente come tale scelta processuale possa risultare “appetibile” nel caso in cui l’imputato si trovi a rispondere di un reato (a titolo esemplificativo, talune forme aggravate di maltrattamenti e stalking) che non preveda la sospensione dell’ordine di esecuzione, ai sensi dell’art. 656, co. IX, c.p.p., in caso di richiesta tempestiva di eventuali misure alternative.

In tal caso, difatti, la pena detentiva verrebbe eseguita subito dopo il passaggio in giudicato della sentenza ed il condannato dovrebbe quindi, subire il c.d. passaggio in carcere, in attesa della concessione di un eventuale misura alternativa alla detenzione.

L’immediata conversione della pena, in LPU, al netto degli aspetti “negativi” sopra evidenziati, garantirebbe al condannato di scontare la pena con tali modalità evitando il rischio di subire una detenzione che, considerati i tempi di decisione dei Tribunali di Sorveglianza sulle richieste di misure alternative, può essere anche assai lungo.

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*Francesco Bico, Partner e Jacopo Campiglio, Associate - FDL Studio Legale e Tributario

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