Famiglia

I presupposti per la revisione dell'assegno divorzile

Il giudice deve verificare se le circostanze, sopravvenute e dimostrate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio raggiunto e adeguare l'importo

di Valeria Cianciolo

«In sede di revisione il giudice non può procedere ad una nuova valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, bensì, nel rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e dimostrate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio in tal modo raggiunto e adeguare l'importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertate». Questo il principio espresso dalla Cassazione con l'ordinanza 25645/2021.

Il caso
La corte d'appello riduceva l'assegno divorzile in favore della moglie da 2300 € ad euro 500 al mese nella ritenuta finalità perequativa dell'assegno stesso in applicazione del principio espresso dalle Sezionei Unite del 2018, tenuto conto del periodo breve, ma significativo del matrimonio nel corso dei quali, la signora aveva dato il proprio contributo all'avvio dell'attività del marito. Pur avendo la signora ereditato la somma di 400.000 € unitamente ai suoi fratelli, la corte di merito però non aveva considerato le spese sostenute per la ristrutturazione degli immobili ereditati.
D'altro canto, la corte aveva poi omesso di valutare gli acquisti di immobili di prestigio da parte del marito e l'acquisto di un'auto di lusso, dopo la sentenza di divorzio.
La Suprema Corte con l'ordirnanza del 22 settembre 2021 n. 25645, ha cassato la sentenza impugnata, rilevando che la Corte d'Appello non avesse, nel caso di specie, tenuto conto dei seguenti principi espressi dalla sentenza n. 15481 del 2017:
1) il diritto all'assegno di divorzio, di cui all'articolo 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all'esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): la prima, concernente l'an debeatur, informata al principio dell'auto-responsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali "persone singole" ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all'assegno divorzile; la seconda, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro quale persona economicamente più debole che investe soltanto la determinazione dell'importo dell'assegno stesso.
2) il giudice del divorzio:
a) deve verificare, nella fase dell'an debeatur, se la domanda dell'ex coniuge richiedente soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di «mezzi adeguati» o, comunque, impossibilità «di procurarseli per ragioni oggettive»), non con riguardo ad un "tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio", ma con esclusivo riferimento all' "indipendenza o autosufficienza economica" dello stesso, sulla base del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri "lato sensu" imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge richiedente), della capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all'eccezione ed alla prova contraria dell'altro ex coniuge;
b) deve tener conto, nella fase del quantum debeatur, di tutti gli elementi indicati dalla norma.
Afferma la sentenza in esame: "Sull' indicata premessa ha valore pregiudiziale il ricorso incidentale che investendo l'an dell'assegno divorzile va saggiato in applicazione dei principi esposti…e solo all'esito lo scrutinio relativo al quantum…"
Il ricorso incidentale viene dunque, accolto perché la Corte d'Appello disattendendo i principi esposti, ha richiamato il criterio perequativo dell'assegno divorzile come interpretato dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2018 che però, è afferente l'art. 5 della Legge 1 dicembre 1970 n. 898 e non riguarda l'art. 9 della stessa Legge.

I presupposti per la revisione dell'assegno divorzile
L'istituto dell'assegno di divorzio è stato oggetto di una importante rivisitazione giurisprudenziale originata dalla nota sentenza Lamorgese del 2017 (Cass., 15 maggio 2017, n. 11504) che ha superato il criterio del "pregresso tenore di vita matrimoniale" come momento centrale per valutare l'adeguatezza dei mezzi del coniuge, e che è poi sfociato nella successiva presa di posizione delle Sezioni unite nel 2018 (Cass., Sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287), determinando una modificazione di un orientamento graniticamente fermo da oltre un trentennio, in ordine alla individuazione dei presupposti per la concessione dell'assegno e dei criteri per la sua quantificazione. Le Sezioni Unite infatti, hanno ritenuto che la valutazione dell'inadeguatezza dei mezzi, in capo al coniuge richiedente l'assegno, debba essere effettuata dal giudice tenendo conto dei criteri indicati nella prima parte dell'articolo 5, 6 co., legge 1 dicembre 1970 n. 898, norma questa che fornisce all'interprete i parametri necessari per la corretta determinazione dell'assegno.
In tal modo, le Sezioni Unite recuperano la logica solidaristica che pareva essere stata abbandonata dalla sentenza Lamorgese del 2017: d'altronde, è in tale logica solidaristica che si spiegano gli effetti patrimoniali del divorzio, quali il diritto dell'ex coniuge, titolare dell'assegno divorzile, a beneficiare della pensione di reversibilità (art. 9 l. div.), dell'assegno successorio (art. 9 bis l. div.) e di una parte del trattamento di fine rapporto (art. 12 bis l. div.).
Il nuovo orientamento giurisprudenziale potrebbe incidere in modo rilevante non solo sulle modalità di quantificazione concreta dell'assegno, ma anche sul giudizio di revisione ex articolo 9 l. div., norma che, nel testo riformato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74, consente la revisione, in camera di consiglio, delle disposizioni relative all'affidamento dei figli ed ai contributi a favore dei coniugi e della prole di cui agli articoli 5 e 6 Legge divorzio contenute nella sentenza di divorzio: il legislatore ha così previsto gli effetti delle vicende che nel tempo possono incidere sul diritto all'assegno, permettendo la revisione qualora sopraggiungano quelle circostanze fattuali che implichino una modifica significativa della situazione economica delle parti, aprendo un nuovo giudizio nel quale il diritto all'assegno divorzile e la sua quantificazione dipendono sempre dall'interpretazione data dal giudice al disposto dell'articolo 5 della Legge 898/1970, fermo restando che:
a. ai fini della modifica dell'assegno a favore di un coniuge, è comunque esclusa una nuova determinazione ai sensi dell'articolo 5, dovendosi invece valutare le variazioni patrimoniali nel frattempo verificatesi (Cass. civ., Sez. I, 6 ottobre 2011, n. 20507; Cass. civ., Sez. I, 26 novembre 1998, n. 12010);
b. non è possibile prendere in esame fatti verificatisi anteriormente al provvedimento da modificare, vista l'efficacia di giudicato di quest'ultimo, pur se rebus sic stantibus.
La revisione dell'assegno divorzile (articpòp 9, Legge n. 898 del 1970) presuppone l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi capace di variare il pregresso assetto patrimoniale realizzato col precedente provvedimento attributivo dell'assegno: la norma prevede, dunque, come presupposti per la modifica delle condizioni di divorzio, l'esistenza di «giustificati motivi» e che questi siano «sopravvenuti».

I nuovi fatti
Fatti «sopravvenuti» sono solo i fatti avvenuti successivamente all'emanazione del provvedimento di cui si chiede la revisione, non potendosi compiere, in sede di modifica, una nuova valutazione delle circostanze già dedotte nel giudizio di divorzio (Cass. civ., 2 febbraio 2006, n. 2338, in Foro it., 2006, I, 1361. In dottrina si veda PITTALIS, Art. 9 l. 1.12.1970, n. 898, in Codice della famiglia, a cura di Sesta, III, 3a ed., Milano, 2015, 2808 ss.): non devono pertanto, prendersi in considerazione i fatti anteriori al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio di cui successiva sia solo la prova, oppure semplicemente ignorati dalla parte che avrebbe tratto giovamento da essi nel corso del giudizio di divorzio. A tale proposito, la giurisprudenza afferma che è rilevante la prova di circostanze sopravvenute rispetto a quelle conosciute, o conoscibili con l'ordinaria diligenza, al momento dell'adozione delle misure che si chiede di modificare. Sarebbe dunque rilevante la scoperta di un fatto già sussistente al momento della pronuncia oggetto di modifica purché tale fatto non fosse conosciuto e neppure conoscibili (Cass., 2 novembre 2004, n. 21049, in Giust. civ. mass., 2004. Trib. Napoli, 10 marzo 2010, in Corr. merito, 2010, 601).
Hanno rilievo anche le nuove circostanze volontariamente e consapevolmente determinate dal soggetto interessato alla modifica? Per rispondere a tale quesito, occorre valutare oggettivamente la variazione delle condizioni sulla base delle quali, il giudice del divorzio ha emesso i provvedimenti di cui si chiede la revisione, non dovendosi comunque procedere all'indagine dei motivi che hanno condotto a tale variazione. Ad esempio, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la diminuzione dei redditi dell'ex coniuge obbligato a versare l'assegno divorzile, benché dovuta ad una libera scelta di quest'ultimo di limitare il proprio impegno lavorativo, optando per il lavoro part - time, può costituire giustificato motivo di revisione dell'assegno stesso (Cass. civ., 11 marzo 2006, n. 5378, in Fam. pers. succ., 2006, 791; Cass., 4 aprile 2002, n. 4800, in Giur. it., 2003, 686), salvo che non risulti che il coniuge richiedente la modifica non abbia deliberatamente preordinato la volontà di sottrarsi ai propri obblighi.

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