Penale

I vizi di installazione del trojan non affondano l’intercettazione

Nè nullità nè inutilizzabilità per i difetti di documentazione

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di Giovanni Negri

Se l’autorizzazione è corretta, allora i vizi delle modalità non travolgono tutta l’intercettazione con trojan. A questa conclusione approda la Corte di cassazione con la sentenza n. 32428 della Quinta sezione penale con la quale è stata respinta una serie di motivi di ricorso contro un’operazione di intercettazione disposta attraverso l’installazione di virus informatico.

I difetti di documentazione

In particolare, la difesa di un imputato di traffico di stupefacenti, aveva lamentato una scarsa precisione dei decreti autorizzativi nell’indicare le modalità con le quali la polizia giudiziaria aveva potuto utilizzare il personale di una ditta specializzata nelle attività di inserimento del trojan e l’incertezza, dovuta alla mancanza di adeguata documentazione e verbalizzazione delle operazioni svolte, su quali erano state le modalità attuative dell’intercettazione poste in essere dal personale privato delegato.

Inoltre, a detta della difesa, non era stato indicato il nominativo di chi aveva materialmente eseguito le operazioni di inoculazione del virus e «dato luogo alla fase primaria e ancora più delicata della stessa installazione del software captatore: quella di analisi dei dati relativi al dispositivo da intercettare».

La fase di esecuzione

Per la Cassazione (che compie una diffusa analisi della specificità dell’intercettazione via trojan) però le questioni relative all’installazione degli strumenti per l’intercettazione attraverso il virus trojan in rapporto all’obiettivo da intercettare non riguardano la fase di autorizzazione dell’attività investigativa affidata al Gip e neppure la verifica dei presupposti di legittimità delle intercettazioni, quanto piuttosto la fase esecutiva, già coperta dall’autorizzazione a disporre le medesime intercettazioni.

La fase esecutiva è affidata alle prerogative del pubblico ministero, che può delegare la polizia giudiziaria alle operazioni materiali di installazione tecnica degli strumenti, tra i quali il trojan, idonei, in concreto, alle intercettazioni; eventuali modifiche degli strumenti già indicati nel decreto autorizzativo del Gip, come quelli da utilizzare per eseguire le captazioni, possono essere disposte dallo stesso Pm.

Le operazioni, poi, di collocazione e disinstallazione del materiale tecnico necessario per eseguire le captazioni, anche attraverso trojan, costituiscono «atti materiali rimessi alla contingente valutazione della polizia giudiziaria e l’omessa documentazione delle operazioni svolte dalla polizia giudiziaria non dà lugo ad alcuna nullità od inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni ambientali».

Il nome dell’ausiliario

Quanto alla mancata indicazione del nome dell’ausiliario che ha effettuato l’installazione del virus informatico per l’intercettazione, difetto che secondo la Cassazione può inscriversi nella categoria dell’omessa documentazione delle operazioni svolte dalla polizia giudiziaria delegata dal Pm all’esecuzione delle operazioni autorizzate, la conclusione è che non dà luogo a inutilizzabilità o nullità dei risultati raccolti.

Via libera poi dalla Cassazione anche all’utilizzo di personale civile per l’installazione del trojan. Il riferimento del Codice di procedura penale alla necessità di un intervento del pubblico ministero oppure di un ufficiale di polizia giudiziaria (articolo 267) va inteso con riferimento alle operazioni previste dal precedente articolo 266 e cioè le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni telefoniche.

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Corte di Cassazione, Sentenza 11 novembre 2020 n. 31604

Sezione 5

Giovanni Negri

Il Sole 24 Ore