Penale

Illegittimo il sequestro preventivo diretto del denaro affluito sul conto corrente dopo il reato

Il vincolo cautelare verrebbe a colpire denaro che risulta percepito in maniera cronologicamente scollegata con l'illecito commesso

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di Tommaso Landi*

Interessanti sono gli spunti di diritto espressi dalla giurisprudenza recente ( Cass. sentenza 11086/2022 ) in tema di sequestro preventivo diretto, soprattutto perché molto utili per contrastare la diversa interpretazione dell'istituto in questione, volta a sostenere la possibilità di esecuzione del sequestro preventivo e della conseguente confisca, sulle somme accreditate sui conti della società successivamente alla commissione di reati tributari.

Quest'ultima interpretazione, meno rigorosa dal punto di vista della stretta interpretazione letterale della norma e più punitiva nei confronti dei soggetti sottoposti ad indagine, consentendo, senza limitazioni temporali, il sequestro di tutte le somme confluenti sui conti delle società indagate, avrebbe l'effetto, qualora dovesse prevalere, di privare i soggetti giuridici colpiti di ogni operatività, non è raro, infatti, il caso in cui, al fine di raggiungere l'ammontare oggetto del provvedimento di sequestro, ad essere sottoposti all'istituto siano tutti i conti della società poiché su nessuno di loro vi è, al momento dell'esecuzione del provvedimento, una giacenza tale da soddisfare la richiesta del Pubblico Ministero avallata dal Giudice per le indagini preliminari.

La recente giurisprudenza resa in materia di reati tributari (vedi ex multis Cass. sentenza N. 11086/2022; Cass. sentenza N. 30414/2019; Cass. sentenza N. 41104/2018 ), ha infatti dichiarato l'illegittimità del sequestro preventivo (diretto), che è poi quello che abitualmente riguarda i conti della società colpita dal provvedimento, disposto ai fini della confisca, quando questo venga eseguito sulle somme pervenute nella disponibilità della società in un momento successivo alla data di emissione del provvedimento cautelare, questo perché, a giudizio della Suprema corte, non può costituire profitto del reato tributario di omesso versamento di ritenute il denaro confluito sui conti correnti successivamente alla commissione del reato stesso.

L'interpretazione più rigorosa, dal punto di vista letterale, delle norme che disciplinano l'istituto del sequestro preventivo diretto, data dalla recente sentenza della Cassazione n 11086/2022 in commento, è anche in linea con il principio di diritto enunciato con la sentenza S.U. Lucci ( Cass., Sez. Un. pen., sent. 26 giugno 2015, dep. 21 luglio 2015, n. 31617 ).

Con tale arresto giurisprudenziale, infatti i Supremi Giudici anno voluto intendere che, nell'ipotesi in cui il profitto del reato sia consistito in una somma di denaro, la confisca diretta possa legittimamente avere ad oggetto un importo di pari entità comunque presente nei conti bancari o nei depositi nella disponibilità dell'autore del reato , purché si tratti di denaro già confluito nei conti o nei depositi al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento.

Solo in tali ipotesi, infatti, è possibile sostenere con legittimità che il denaro in giacenza sui conti sia prima sequestrabile e poi confiscabile in via diretta, come profitto accrescitivo, dunque indipendentemente da ogni verifica in ordine al rapporto di concreta pertinenzialità con il reato, ciò perché tale relazione è considerata in via fittizia sussistente proprio per effetto della confusione del profitto concretamente conseguito con tutte le altre disponibilità economiche del reo.

Il principio di diritto enunciato dalla richiamata giurisprudenza, quindi, prevede che, laddove il profitto del reato sia costituito da denaro non più fisicamente identificabile, sia possibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta sui conti o sui depositi nella disponibilità diretta o indiretta dell'indagato sia al momento della commissione del reato sia al momento del suo accertamento, mentre al contrario sia da considerarsi illegittimo il sequestro su somme accreditate sui conti correnti in questione in epoca successiva al momento della commissione o dell'accertamento del reato, quando sia evidente l'assenza di collegamento al reato ( Cass. Sez.6, n.6816 del 29/01/2019 ), circostanza, questa, facilmente acclarabile nei casi in cui il reato commesso sia di natura fiscale quando le somme versate successivamente allo stesso siano frutto di pagamenti da parte dei clienti della società, e dunque in alcun modo connesse ad eventuali risparmi di imposte. Il sequestro così operato, dunque risulta illegittimo poiché le somme confluite sul conto dopo la commissione del reato, neppure fittiziamente, sono considerabili un profitto accrescitivo.

Quanto sopra è confermato da quanto affermato da autorevole giurisprudenza secondo cui la natura fungibile del denaro non è sufficiente per qualificare come "profitto" del reato l'oggetto del sequestro, essendo necessario anche provare che la disponibilità delle somme, successivamente sequestrate, costituisca un risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell'imposta, circostanza provata in re ipsa nel caso in cui l'afflusso di nuovo denaro derivi dal pagamento alla società di beni o servizi da parte dei propri clienti (Sez.3, n.6348 del 04/10/2018, dep.11/02/2019, Rv.274859 ; Cass. n. 11086/22).

Alla luce degli esposti principi di diritto va, quindi, rilevato che la questione relativa alla estensione dell'oggetto della misura cautelare anche a somme affluite sui conti correnti in un momento successivo alla commissione del reato o in momento successivo alla data di esecuzione del decreto, quand'anche i conti fossero già oggetto di sequestro, rende illegittima l'estensione degli effetti del provvedimento a tali somme poiché il vincolo cautelare verrebbe a colpire denaro che risulta percepito in maniera cronologicamente scollegata con l'illecito commesso.

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*A cura dell'Avv. Tommaso Landi, Studio Legale Tributario Landi - Partner 24 ORE Avvocati

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