Professione e Mercato

Il caso di civile sulle delibere assembleari tra nullità e annullabilità

"Sotto la lente" il tema divisivo in dottrina e giurisprudenza della validità delle delibere assembleari

di Patrizia Cianni

CIVILE/ CONDOMINIO – INVALIDITA’ DELIBERE ASSEMBLEARI

 

TITOLO

Le delibere assembleari tra nullità e annullabilità

 

a cura di Patrizia Cianni

 

IL QUESITO

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione degli oneri condominiali il giudice può sindacare la validità della deliberazione assembleare di ripartizione delle spese su cui è fondata l’ingiunzione di pagamento o tale sindacato gli è precluso essendo riservato ad un apposito giudizio avente specificamente ad oggetto l’impugnazione in via immediata della deliberazione?

  Le delibere assembleari che applicano criteri di riparto delle spese diversi da quelli legali (dettati negli articoli 1223 e seguenti del Cc) e/o convenzionali vigenti sono affette da nullità, rilevabile d’ufficio e deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, ovvero da mera annullabilità, deducibile nei modi e nei tempi previsti dall’articolo 1137, comma 2 del codice civile?

 ***

 

LO SCHEMA PER LA DISCUSSIONE DEL QUESITO

1) Inquadramento generale

Il tema della validità delle delibere assembleari è da sempre oggetto di dibattiti dottrinali e giurisprudenziali anche per le ricadute pratiche delle soluzioni proposte. Si tratta di un tema di notevole interesse per la preparazione all’Esame di abilitazione in quanto, al di là della tematica specifica, implica lo studio e la conoscenza dell’istituto del condominio del quale il codice civile non fornisce una definizione.

Invero, si tratta di un istituto disciplinato in maniera sistematica solo nel Codice del 1942 in quanto il Codice del 1865 non ne conteneva una disciplina compiuta; tuttavia, il fatto che le norme che lo riguardano siano collocate nel Libro III, relativo alla proprietà  e, più nello specifico, nel Capo II del Titolo VII relativo alla comunione , aiuta a capire come il condominio non sia altro che una particolare forma di comunione su di un bene immobile.

La peculiarità del condominio rispetto alla più generale disciplina della comunione va rintracciata nel fatto che in esso coesistono parti di proprietà esclusiva accanto a parti di proprietà comune; quando, invece, lo stesso immobile sia oggetto di proprietà indivisa tra più persone esso sarà soggetto alla comunione per cui è chiaro che il tratto distintivo delle due fattispecie va individuato nella diversa conformazione dei diritti di proprietà dei singoli rispetto al bene immobile .

Ne consegue cheil condominio è una particolare forma di comunione nella quale coesistono parti di proprietà esclusiva e parti di proprietà comune .

 

A – LE NOZIONI TEORICHE

 

2) Le questioni di diritto sostanziale

L’invalidità delle delibere condominiali tra nullità e annullabilità

Una delibera assembleare perché sia valida deve avere determinati requisiti:

- l’avviso di convocazioneche deve contenere l’indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno 5 giorni prima della data di svolgimento dell’assemblea;

- il verbale deve essere compilato in modo che tutto lo svolgimento dell’adunanza sia comprensibile e sia possibile verificare la correttezza dei quorum deliberativi.

Ogni deliberazione relativa al singolo punto all’ordine del giorno, per essere valida, deve riportare un numero di voti uguale o superiore a quello previsto dalla legge e devono essere rispettati i criteri di ripartizione previsti dalla legge o dal regolamento. 

 

L’art. 1137, comma 1, c. c., recita che “le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini” per cui tale previsione vincola tutti condomini, compresi assenti e dissenzienti, al rispetto di quanto deciso dalla maggioranza; i commi 2 e 3 della medesima norma affermano che “Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.

L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità giudiziaria”.

 

Le norme citate riguardano l’impugnazione delle delibere assembleari e rappresentano le uniche disposizioni legislative che si occupano dell’invalidità delle decisioni assembleari. 

 

Dottrina e giurisprudenza distinguono tra  delibere inesistenti, nulle e annullabili , con diversi effetti collegati a ciascuna categoria.

Di recente, la Suprema Corte, con la sentenza 16 aprile 2019, n. 10586, con riferimento alle delibere “inesistenti” ha precisato che un atto è giuridicamente inesistente se manca degli elementi essenziali per cui non è possibile identificarlo e qualificarlo come atto giuridico.

 

Delibere “nulle”, invece, sono quelle contrarie alla legge, con oggetto impossibile o illecito, cioè contrario alla legge o all’ordine pubblico, e non rientrante nella competenza dell’assemblea, nonché le delibere che incidono sui diritti dei singoli condomini su cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ogni condomino; infine, sono annullabili le delibere viziate per difetti formali, come mancanza del quorum costitutivo o deliberativo o irregolare convocazione dei condomini, in generale quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle affette da irregolarità nel procedimento di convocazione.

Di preliminare importanza è l’inquadramento del vizio che inficia la delibera assembleare che si vuole impugnare poiché la legge prevede procedure e termini diversi a seconda del tipo di invalidità.  

 

In caso di inesistenza e di nullità il condomino che ritiene di essere stato danneggiato dalla decisione può agire in qualsiasi momento mentre l’annullabilità, ai sensi dell’art. 1137 c. c., può essere fatta valere solo impugnando la delibera entro 30 giorni dalla sua adozione per il caso di condomino presente all’assemblea o, nel caso di assenza, entro 30 giorni dalla comunicazione del verbale d’assemblea.

Già con la sentenza n. 4806/2005 la Suprema Corte ha affermato che sono da “qualificarsi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto”.

 

Di contro, sono da “qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all’oggetto”.

 

Nel solco tracciato da questa decisione nell’esercizio di catalogazione dei vari vizi in un modo piuttosto che nell’altro, con la recente sentenza 21 aprile 2021, n. 9839, il Supremo Collegio ha affermato che le delibere assembleari relative alla ripartizione delle spese sono nulle “solo nel caso l'assemblea consapevolmente modifichi i criteri di ripartizione delle spese stabiliti dalla legge; sempre secondo questa S.C., invece, le deliberazioni relative alla ripartizione delle spese sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri siano violati o disattesi”(in tal senso anche Corte Cass., n. 747/2009).

 

Dunque, la sentenza n. 9839/2021 ha impostato la questione limitando i casi di nullità a quelle violazioni di legge macroscopiche, ampliando il concetto di annullabilità a tutte quelle ipotesi di routine nell’ambito della gestione condominiale.

In conclusione, una delibera nulla può essere impugnata in ogni tempo, quella annullabile entro 30 giorni, che per i dissenzienti decorrono dallo svolgimento dell’assemblea e per gli assenti dalla comunicazione dello svolgimento stessa. In ogni caso è utile impugnare nei termini appena citati.

 

Tuttavia, poiché nullità e annullabilità, con riferimento alle deliberazioni condominiali, sono concetti di creazione giurisprudenziale e di conseguenza valutati volta per volta dal giudice, per non incorrere in decadenze dovute a mutamenti d’indirizzo giurisprudenziale, è preferibile impugnare qualsiasi deliberazione entro i 30 giorni di cui al comma 3 dell’art. 1137 c.c.

 Seppure il Codice Civile parla semplicemente di deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio e ne richiede l’impugnazione tempestiva (entro 30 giorni), dottrina e giurisprudenza, nel corso del tempo, hanno ritenuto applicabile all’invalidità delle delibere i concetti di nullità e annullabilità con diverse conseguenze.

Una delibera nulla è impugnabile in ogni tempo, da chiunque ne abbia interesse e non è suscettibile di produrre effetti giuridici, per cui è come se non fosse mai esistita; una deliberazione annullabile, invece, deve essere impugnata nei tempi previsti dall’art. 1137 c. c..

 Certamente con riguardo all’individuazione concreta di quei vizi comportanti nullità o annullabilità il silenzio della legge non ha aiutato ma i riflessi pratici sono notevoli in quanto la labilità del confine tra nullità e annullabilità comporta un’incertezza dei rapporti giuridici non solo tra i condomini ma anche tra condominio e terzi.  

 

Giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per la riscossione di contributi condominiali ed invalidità della delibera

La recente giurisprudenza sostiene ormai che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità che l’annullabilità della delibera posta a fondamento dell’ingiunzione; tuttavia, in caso di delibera annullabile è necessario che il vizio sia dedotto in via di azione e non di eccezione, conformemente alla previsione di cui all’art. 1137, comma 2, c. c..

Invero, inizialmente la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia della delibera, senza poterne sindacare la validità, neppure in via incidentale, trattandosi di valutazione riservata al giudice dinanzi al quale la delibera viene impugnata (in tal senso Corte Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2009, n. 26629 e successivamente in senso conforme Corte Cass. 19 febbraio 2016, n. 3354; 28 marzo 2019, n. 8685; 9 agosto 2019, n. 21240).

 Altro orientamento, ha invece affermato il diverso principio secondo cui, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, il limite alla rilevabilità d’ufficio dell’invalidità della delibera sottostante non opera quando si tratta di vizi implicanti la sua nullità in quanto la validità della delibera è elemento costitutivo della domanda di pagamento e come tale il giudice è chiamato ad appurarla (in tal senso Corte, Cass., 12 gennaio 2016, n. 305 e 23 luglio 2019, n. 19832).

 Con la sentenza n. 9838/2021 le Sezioni Unite hanno aderito a questo secondo orientamento, ribadendo che la validità della delibera posta a fondamento dell’ingiunzione costituisce il presupposto necessario per la conferma del decreto per cui non può ritenersi precluso al giudice dell’opposizione di accertare, ove richiesto o dovuto, la sussistenza del presupposto necessario per la pronuncia di rigetto o di accoglimento dell’opposizione; il tutto anche in virtù di considerazioni di economia processuale, dato che riconoscere al giudice dell’opposizione la possibilità di sindacare la validità della delibera consente anche di definire nello stesso giudizio tutte le questioni ad essa relative, evitando la proliferazione delle controversie e il rischio di contrasto tra giudicati.

 Quanto detto vale nel caso di delibera assembleare nulla, poiché diversamente concludendo si costringerebbe il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo a ritenere giuridicamente efficace ciò che invece non lo è, ma può valere anche per le delibere annullabili, seppur con alcune, doverose precisazioni, in ragione delle modalità processuali imposte dall’art. 1137, comma 2, c. c., che prescrive l’azione di annullamento come “unico modello legale” attraverso il quale far valere l’annullabilità delle delibere assembleari, consentendone la proposizione in via principale (nell’ambito di un autonomo giudizio) o in via riconvenzionale, anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, ma escludendola in via di eccezione.

 Sulla scia di tali considerazioni le Sezioni Unite hanno enunciato i seguenti principi di diritto: “Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio, della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta in via di azione - mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione in opposizione – ai sensi dell’art. 1137, secondo comma, cod. civ., nel termine perentorio ivi previsto e non in via di eccezione” e “Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, l’eccezione con la quale l’opponente deduca l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, senza chiedere una pronuncia di annullamento di tale deliberazione, è inammissibile e tale inammissibilità va rilevata e dichiarata d’ufficio dal giudice.”

 

Invalidità delle delibere di riparto di oneri condominiali

Con riferimento alle delibere assembleari di riparto delle spese condominiali, adottate in violazione dei criteri legali o convenzionalmente stabiliti va chiarito se l’invalidità consista in una nullità o in una “mera” annullabilità, vizi cui ovviamente consegue uno specifico, diverso regime.

 Sul punto la giurisprudenza si è espressa in modo contrapposto fino alla pronuncia della Corte di Cassazione n. 4806/2005 che ha tracciato il criterio distintivo tra delibere assembleari nulle e annullabili, individuandolo nella contrapposizione tra “vizi di sostanza” (inerenti il contenuto delle deliberazioni) e “vizi di forma” (attinenti invece alle regole procedimentali per la formazione delle delibere).

 La recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte n. 9839/2021 ha ribadito i principi già affermati nel 2005 tenendo conto dell’esigenza di assicurare certezza ai rapporti giuridici facenti capo ad un’entità così complessa quale il condominio che giustifica il favor legislativo per la stabilità delle deliberazioni assembleari e la mancata previsione di fattispecie di nullità.

 Se il tenore dell’art. 1137 c. c. non lascia dubbi sull’intento di ricondurre ogni forma d’invalidità delle delibere assembleari alla figura dell’annullabilità, ciò non significa che la categoria della nullità sia totalmente espunta dalla materia ma solo che il legislatore ha elevato l’annullabilità a regola generale, riservando alla nullità un ruolo residuale e di mera eccezione, in linea con l’impostazione tradizionale secondo cui la nullità consegue alla carenza o all’impossibilità di un elemento costitutivo o di un requisito legale di efficacia.

 

Sul punto le Sezioni Unite nella sentenza n. 9839/2021 hanno quindi affermato che “In tema di condominio negli edifici, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico – dando luogo, in questo secondo caso, ad un “difetto assoluto di attribuzioni” – e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all’“ordine pubblico” o al “buon costume”; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all’art. 1137 cod. civ.” e che “In tema di deliberazioni dell’assemblea condominiale, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135, numeri 2) e 3), cod. civ. e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, secondo comma, cod. civ.”.

  Se le delibere che hanno per oggetto la ripartizione delle spese condominiali violano i criteri legali di ripartizione delle stesse, stabiliti in particolare dall’art. 1123 c. c., possono ritenersi nulle; invero, tale disposizione stabilisce che “le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione”; se, invece, si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.

 L’errore di calcolo nella ripartizione delle spese condominiali, desumibili o meno dal bilancio e/o dal consuntivo, oppure semplicemente deliberate, integra invece un vizio di annullabilità, che può essere fatto valere solo impugnando la delibera nei 30 giorni anzidetti.

 

  3) Le questioni di diritto processuale

In materia di delibere assembleari come per le questioni attinenti alla nullità ed all’annullabilità, anche per l’azione giudiziaria sono sorti dei dubbi.

 Partendo dal presupposto che una delibera condominiale può essere nulla o annullabile e che nel primo caso l’impugnazione può essere fatta in ogni tempo e nel secondo bisogna rispettare i termini previsti dall'articolo 1137 c. c., l’impugnazione può essere proposta tanto con ricorso, che con citazione: nel primo caso il termine si ritiene rispettato se il ricorso è depositato nei 30 giorni di cui all’art. 1137 c. c. mentre nel secondo caso, per non incorrere in decadenza del diritto ad impugnare, i termini sono rispettati notificando la citazione entro i succitati 30 giorni.

  Invero, tranne l’art. 1137 c. c. nessun’altra disposizione del codice civile, né tantomeno di quello di procedura civile prevedono un particolare procedimento per l’impugnazione delle delibere assembleari e la Suprema Corte ha affermato che “l’impugnazione della delibera assembleare può avvenire indifferentemente con ricorso o con atto di citazione, e che in quest’ultima ipotesi, ai fini del rispetto del termine di cui all’art. 1137 c.c., occorre tener conto della data di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio invece di quella del successivo deposito in cancelleria che avviene al momento della iscrizione della causa a ruolo” (Corte Cass., n. 14007/2008). 

Appare chiaro che poiché la differenza non è solo nominale, in quanto impugnare una delibera con citazione significa allungare di molto i termini di inizio del giudizio con evidenti riflessi sull’esecuzione del deliberato assembleare, occorrerebbe una specifica regolamentazione legislativa. 

 

B – LA SOLUZIONE DEL CASO

La soluzione del caso si rinviene nella sentenza della Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 21 aprile 2021, n. 9839.

Riferimenti normativi: art. 1102 c.c.; art. 1117 c.c.; art. 1122 c.c.; art. 1137 c. c..

1.     D. Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione degli oneri condominiali il giudice può sindacare la validità della deliberazione assembleare di ripartizione delle spese su cui è fondata l’ingiunzione di pagamento o tale sindacato gli è precluso essendo riservato ad un apposito giudizio avente specificamente ad oggetto l’impugnazione in via immediata della deliberazione?

 

R. La prima questione da esaminare è quella relativa all'estensione del thema decidendum del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione degli oneri condominiali; si tratta, in particolare, di stabilire se, in tale giudizio, il giudice possa sindacare la validità della deliberazione assembleare di ripartizione delle spese su cui è fondata l'ingiunzione di pagamento ovvero se tale sindacato gli sia precluso, per essere riservato ad apposito giudizio avente specificamente ad oggetto l'impugnazione in via immediata della deliberazione. A tale quesito, la giurisprudenza di questa Corte ha dato, in un primo momento, risposta negativa, affermando il principio secondo cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per le spese condominiali, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla validità della Delib. condominiale, ma solo questioni riguardanti l'efficacia della medesima (Cass., Sez. 2, n. 22573 del 07/11/2016; Cass., Sez. 2, n. 17486 del 01/08/2006). In particolare, si è statuito che il giudice dell'opposizione deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia della Delib. assembleare, senza poter sindacare, neppure in via incidentale, la sua validità, essendo tale sindacato riservato al giudice davanti al quale detta Delib. sia stata impugnata (Cass., Sez. Un., n. 26629 del 18/12/2009; nel medesimo senso, Cass., Sez. 2, n. 3354 del 19/02/2016; Cass., Sez. 2, n. 4672 del 23/02/2017; in senso conforme, non massimate: Cass., Sez. 2, n. 6436 del 19/03/2014; Cass., Sez. 2, n. 8685 del 28/03/2019; da ultimo Cass., Sez. 2, n. 21240 del 09/08/2019, in motiv.); egli può accogliere l'opposizione solo se la Delib. condominiale abbia perduto la sua efficacia, per essere stata annullata o per esserne stata sospesa l'esecuzione dal giudice dell'impugnazione (Cass., Sez. 2, n. 19938 del 14/11/2012; Cass., Sez. 6 - 2, n. 7741 del 24/03/2017). Queste conclusioni, che relegano l'azione di annullamento della delibera assembleare in un separato giudizio, necessariamente distinto da quello di opposizione al decreto ingiuntivo, sono state recentemente contraddette da un nuovo indirizzo giurisprudenziale di questa Suprema Corte, che ha affermato il diverso principio secondo cui, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità d'ufficio dell'invalidità della sottostante Delib. non opera allorchè si tratti di vizi implicanti la sua nullità, in quanto la validità della Delib. rappresenta un elemento costitutivo della domanda di pagamento (Cass., Sez. 2, n. 305 del 12/01/2016; Cass., Sez. 2, n. 19832 del 23/07/2019; nello stesso senso, non massimate: Cass., Sez. 6-2, n. 22157 del 12/09/2018; Cass., Sez. 6-2, n. 33039 del 20/12/2018; Cass., Sez. 6-2, n. 23223 del 27/09/2018).

 Le Sezioni Unite ritengono che il primo orientamento debba essere superato, mancando ragioni sufficienti per negare al giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo il potere di sindacare la validità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione; anzi, diverse fondate ragioni inducono a riconoscere al giudice dell'opposizione il potere di sindacare non solo l'eventuale nullità di tale deliberazione, ma anche la sua annullabilità, ove dedotta nelle forme e nei tempi prescritti dalla legge.

  In primo luogo, va osservato che, secondo i principi generali, l'opposizione a decreto ingiuntivo apre un ordinario giudizio di cognizione sulla domanda proposta dal creditore con il ricorso per ingiunzione, il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all'accertamento dei fatti costitutivi del diritto in contestazione, ossia al merito del diritto fatto valere dal creditore con la domanda di ingiunzione (Cass., Sez. Un., n. 7448 del 07/07/1993; Cass., Sez. 2, n. 9708 del 17/11/1994; Cass., Sez. 3, n. 3984 del 18/03/2003; Cass., Sez. L, n. 21432 del 17/10/2011).

 Se il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo è un ordinario giudizio di cognizione, risulta arduo sostenere che il giudice dell'opposizione possa confermare il decreto ingiuntivo senza verificare la validità del titolo (nella specie, la Delib. assembleare) posto a fondamento dell'ingiunzione, non potendo ritenersi consentito, in assenza di previsione di legge, creare uno ius singulare per la materia condominiale. Invero, la validità della deliberazione posta a fondamento della ingiunzione costituisce il presupposto necessario per la conferma del decreto ingiuntivo; non può, pertanto, precludersi al giudice dell'opposizione di accertare, ove richiesto o dovuto, la sussistenza del presupposto necessario per la pronuncia di rigetto o di accoglimento della opposizione.

  In secondo luogo, va rilevato poi come ragioni di economia processuale, in linea col principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost., comma 2), impongano di riconoscere al giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo il potere di sindacare, ove richiesto, l'invalidità della deliberazione posta a fondamento dell'ingiunzione. Infatti, negare al giudice dell'opposizione la possibilità di sindacare la invalidità della deliberazione posta a base dell'ingiunzione provocherebbe la moltiplicazione dei giudizi, perché costringerebbe il giudice a rigettare l'opposizione e obbligherebbe la parte opponente, che intenda far valere detta invalidità, a promuovere separato giudizio e, successivamente, nel caso in cui la deliberazione fosse annullata, a proporre domanda di accertamento e di ripetizione di indebito ovvero opposizione all'esecuzione, prolungando così il contenzioso tra le parti.

 Al contrario, riconoscere al giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo la possibilità di sindacare la validità della deliberazione assembleare consente di definire nel medesimo giudizio tutte le questioni relative alla Delib. su cui si fonda l'ingiunzione e di evitare la proliferazione delle controversie. Si tratta di una interpretazione che, oltre ad essere in linea col principio costituzionale della ragionevole durata del processo, consente anche di evitare il rischio di contrasti di giudicati. 5.1. - Quanto detto vale innanzitutto con riguardo al caso in cui la deliberazione assembleare sia affetta da "nullità". E' sufficiente, a tal fine, osservare che la nullità, quale vizio radicale del negozio giuridico, impedisce, per sua natura, allo stesso di produrre alcun effetto nel mondo del diritto ("quod nullum est nullum producit effectum"); essa è deducibile da chiunque vi abbia interesse ed è rilevabile d'ufficio (art. 1421 c.c.). Perciò, negare al giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo il potere di tener conto della eventuale nullità della deliberazione assembleare significa negare la stessa nozione di nullità; significa, al postutto, costringere il giudice a ritenere giuridicamente efficace ciò che tale non è.

 Deve dunque riconoscersi - secondo i principi generali - che il giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo ha il potere di sindacare la nullità della deliberazione assembleare posta a fondamento della ingiunzione, che sia stata eventualmente eccepita dalla parte; egli ha altresì il potere-dovere di rilevare d'ufficio l'eventuale nullità della deliberazione, con l'obbligo - in tal caso - di instaurare sulla questione il contraddittorio tra le parti ai sensi dell'art. 101 c.p.c., comma 2, (cfr. Cass., Sez. Un., n. 26242 del 12/12/2014; Cass., Sez. 2, n. 26495 del 17/10/2019). 5.2. - Non vi sono neppure valide ragioni per negare al giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo il potere di verificare l'esistenza di una causa di "annullabilità" della deliberazione posta a fondamento del decreto, ove dedotta dall'opponente nelle forme di legge, e di provvedere al suo annullamento. Va osservato, in proposito, che la disposizione dell'art. 1137 c.c., comma 2, (nel testo introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, art. 15, comma 1) - a tenore della quale "Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti" non prevede alcuna riserva dell'esercizio dell'azione di annullamento ad un apposito autonomo giudizio a ciò destinato, nè fornisce alcuna indicazione che legittimi una tale conclusione.

  Vale, pertanto, il principio generale secondo cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'opponente, che assume la posizione sostanziale di convenuto (al contrario dell'opposto, che assume la posizione sostanziale di attore), nel contestare il diritto azionato con il ricorso, può proporre domanda riconvenzionale, anche deducendo un titolo non strettamente dipendente da quello posto a fondamento della ingiunzione (da ultimo, Cass., Sez. 2, n. 6091 del 04/03/2020; Cass., Sez. 1, n. 16564 del 22/06/2018), e può, con la domanda riconvenzionale, esercitare l'azione di annullamento della deliberazione posta a fondamento del decreto ingiuntivo, ai sensi dell'art. 1137 c.c., comma 2. Piuttosto, occorre soffermarsi sul pregnante significato che assume la disposizione dell'art. 1137 c.c., comma 2, nel prescrivere le modalità processuali tramite le quali l'annullabilità della deliberazione dell'assemblea dei condomini può essere fatta valere in giudizio. Si tratta di una disposizione che descrive il "modello legai-tipico" tramite il quale l'annullabilità della deliberazione assembleare può essere dedotta dinanzi al giudice: tale modello è quello dell"azione di impugnativa", da esercitare mediante la proposizione di apposita domanda giudiziale. Ciò vuol dire che l'annullabilità della deliberazione assembleare può essere fatta valere in giudizio soltanto attraverso l'esercizio dell'azione di annullamento; tale azione deve estrinsecarsi in una domanda che può essere proposta "in via principale", nell'ambito di autonomo giudizio, oppure "in via riconvenzionale", anche nell'ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, semprechè il termine per l'esercizio dell'azione di annullamento non sia perento (come avviene, ad es., nel caso in cui il condomino assente non abbia ricevuto comunicazione della deliberazione assembleare di riparto delle spese).

 Alcune precisazioni, tuttavia, si impongono.

  5.2.1. - In primo luogo, occorre chiedersi se l'annullabilità della deliberazione assembleare possa essere fatta valere, oltre che in via di azione, anche in via di eccezione, come è consentito per l'annullabilità relativa ai contratti (art. 1442 c.c., u.c.). Per trovare risposta a tale quesito, è necessario muovere dal considerare la ratio della norma di cui all'art. 1137 c.c., ratio che va rinvenuta nella esigenza di assicurare certezza e stabilità ai rapporti condominiali, di modo che l'ente condominiale sia in grado di conseguire in concreto la sua istituzionale finalità, che è quella della conservazione e della gestione delle cose comuni nell'interesse della collettività dei partecipanti. Questa ratio legis spiega perchè il legislatore, per un verso, ha stabilito che le deliberazioni adottate dall'assemblea "sono obbligatorie per tutti i condomini" (art. 1137 c.c., comma 1), anche per gli assenti e per i dissenzienti; e, per altro verso, ha sancito il principio dell'esecutività delle deliberazioni dell'assemblea, prevedendo che "L'azione di annullamento non sospende l'esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità giudiziaria" (art. 1137 c.c., comma 3). Corollario del principio dell'efficacia obbligatoria delle deliberazioni assembleari nei confronti di tutti i condomini è l'ulteriore principio (espressamente previsto, con riferimento alle deliberazioni dell'assemblea delle società, dall'art. 2377 c.c., comma 7) per cui la sentenza di annullamento della deliberazione dell'assemblea ha efficacia di giudicato, in ordine alla causa di invalidità accertata, nei confronti di tutti i condomini, anche nei confronti di quelli che non abbiano partecipato al giudizio di impugnativa promosso da uno o da alcuni di loro (cfr. Cass., Sez. 2, n. 29878 del 18/11/2019, in motiv.; Cass., Sez. 6 - 2, n. 19608 del 18/09/2020, in motiv.).

 In sostanza, nel sistema normativo, come non è possibile che una deliberazione assembleare valida ed efficace vincoli alcuni condomini e non altri, essendo invece obbligatoria per tutti; così va escluso che la deliberazione assembleare possa essere giudizialmente annullata con effetto limitato al solo impugnante e rimanga invece vincolante per gli altri partecipanti.

 La natura di ente collettivo del condomino, gestore di beni e di servizi comuni, esige che le deliberazioni assembleari debbano valere o non valere per tutti. Quanto detto impone di interpretare l'art. 1137 c.c., comma 2, nel senso che l'annullabilità della deliberazione non può essere dedotta in via di eccezione, ma solo "in via di azione", ossia nella sola forma che consente una pronuncia di annullamento con efficacia nei confronti di tutti i condomini. Vale la pena di osservare in proposito che, mentre l'azione di impugnativa è un'azione costitutiva, che mira alla rimozione della deliberazione con efficacia erga omnes, l'eccezione ha il limitato scopo di paralizzare la domanda altrui ed ottenerne il rigetto, senza sollecitare la cancellazione della deliberazione viziata dal mondo giuridico. Pertanto, ove fosse consentito dedurre l'annullabilità della deliberazione in via di eccezione, la deliberazione che risultasse viziata sarebbe privata di validità e di efficacia solo nei confronti del condomino eccipiente, restando valida ed efficace nei confronti degli altri condomini.

 

 Un risultato di questo genere, però, sarebbe in contrasto con le esigenze di funzionamento del condominio, fatte proprie dal legislatore, e, nel caso di deliberazioni di ripartizione delle spese, renderebbe impossibile la gestione della contabilità condominiale. Infatti, la quota di contribuzione di ciascun partecipante al condominio è rapportata alla quota di contribuzione degli altri, cosicchè la caducazione di una quota non può non travolgere, inevitabilmente, anche le altre. In conclusione, deve ritenersi che l'art. 1137 c.c., comma 2, prescrive l'azione di annullamento quale "unico modello legale" attraverso il quale è possibile far valere l'annullabilità della deliberazione dell'assemblea condominiale, con esclusione della possibilità di dedurre l'annullabilità in via di eccezione. Tale disposizione costituisce "norma speciale di ordine pubblico", posta a tutela dell'interesse pubblico al funzionamento della collettività condominiale, derogatoria rispetto alle ordinarie regole dettate nella materia contrattuale. Trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, la mancata deduzione della annullabilità nelle forme prescritte dalla legge, ossia con l'azione di annullamento, dà luogo a decadenza per mancato compimento dell'atto previsto dalla legge, che è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (a differenza di quanto vale per la decadenza discendente dalla scadenza del termine di cui all'art. 1137 c.c., comma 2, che è riservata all'eccezione di parte, ai sensi dell'art. 2969 c.c.).

 Il giudice, perciò, deve dichiarare inammissibile l'eventuale eccezione con cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'opponente deduca l'eventuale annullabilità della deliberazione posta a fondamento dell'ingiunzione.

 5.2.2. - Come si è detto, la domanda di annullamento della deliberazione assembleare può essere proposta "in via principale", nell'ambito di autonomo giudizio, o "in via riconvenzionale", anche nell'ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. La domanda in via principale può precedere il giudizio instaurato con l'opposizione al decreto ingiuntivo, ma può anche seguirlo, purchè sia osservato il termine di decadenza previsto dall'art. 1137 c.c. (v. infra par. 5.2.3). Quando invece la domanda di annullamento sia proposta in seno al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, essa assumerà la veste di domanda riconvenzionale, che l'opponente (nella sua sostanziale posizione di convenuto) ha l'onere di proporre, a pena di decadenza, con l'atto di citazione in opposizione, che corrisponde alla comparsa di risposta del convenuto di cui all'art. 167 c.p.c. (Cass., Sez. 3, n. 22528 del 20/10/2006; Cass., Sez. L, n. 13467 del 13/09/2003, in motiv.). La decadenza che - ai sensi dell'art. 167 c.c., comma 2, - segue all'inosservanza di tale onere, essendo dettata nell'interesse pubblico all'ordinato sviluppo del processo, è rilevabile d'ufficio dal giudice (Cass., Sez. 2, n. 4901 del 02/03/2007; Cass., Sez. 2, n. 17121 del 13/08/2020).

 5.2.3. - Da ultimo, va osservato che ciascun condomino è tenuto, secondo quanto prescrive l'art. 1137 c.c., a far valere l'annullabilità della deliberazione dell'assemblea condominiale, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di trenta giorni decorrente, per i condomini assenti, dalla comunicazione della deliberazione (e, per i condomini dissenzienti o astenuti, dalla data della sua approvazione), divenendo in mancanza la delibera valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio (Cass., Sez. Un., n. 4806 del 07/03/2005). La decadenza dal diritto di impugnare per l'avvenuta scadenza del termine perentorio, essendo di carattere temporale e relativa ad una materia non sottratta alla disponibilità delle parti, non può essere rilevata d'ufficio dal giudice (art. 2969 c.c.), ma è deducibile solo dalla parte a mezzo di eccezione (Cass., Sez. 2, n. 8216 del 20/04/2005; Cass., Sez. 2, n. 15131 del 28/11/2001).

 5.3. - Alla stregua di quanto sopra, vanno enunciati, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, i seguenti principi di diritto: - "Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio, della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, sia l'annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest'ultima sia dedotta in via di azione - mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell'atto di citazione in opposizione - ai sensi dell'art. 1137 c.c., comma 2, nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione";

 - "Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, l'eccezione con la quale l'opponente deduca l'annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, senza chiedere una pronuncia di annullamento di tale deliberazione, è inammissibile e tale inammissibilità va rilevata e dichiarata d'ufficio dal giudice".

  2.     D. Le delibere assembleari che applicano criteri di riparto delle spese diversi da quelli legali (dettati negli articoli 1223 e seguenti del Cc) e/o convenzionali vigenti sono affette da nullità, rilevabile d’ufficio e deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, ovvero da mera annullabilità, deducibile nei modi e nei tempi previsti dall’articolo 1137, comma 2 del codice civile?

 R. D2. -  6. - La seconda questione da risolvere, ai fini della decisione del ricorso, riguarda il tipo di invalidità che inficia la deliberazione dell'assemblea condominiale che ripartisca le spese tra i condomini in violazione dei criteri dettati negli artt. 1123 c.c. e segg. o dei criteri convenzionalmente stabiliti; si tratta, in particolare, di stabilire se una deliberazione siffatta debba ritenersi affetta da "nullità", come tale rilevabile d'ufficio e deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, ovvero da mera "annullabilità", deducibile nei modi e nei tempi previsti dall'art. 1137 c.c., comma 2.

 Sul punto, la giurisprudenza tradizionale di questa Suprema Corte ha affermato il seguente principio: "Riguardo alle delibere della assemblea di condominio aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, occorre distinguere quelle con le quali sono stabiliti i criteri di ripartizione ai sensi dell'art. 1123 c.c. ovvero sono modificati i criteri fissati in precedenza, per le quali è necessario, a pena di radicale nullità, il consenso unanime dei condomini, da quelle con le quali, nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135 c.c., nn. 2 e 3, vengono in concreto ripartite le spese medesime, atteso che soltanto queste ultime, ove adottate in violazione dei criteri già stabiliti, devono considerarsi annullabili e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza, di trenta giorni, previsto dall'art. 1137 c.c., comma 2" (Cass., Sez. 2, n. 1455 del 09/02/1995; Cass., Sez. 2, n. 1213 del 01/02/1993).

 Queste Sezioni Unite, poi, con la sentenza n. 4806 del 2005, nel ribadire il principio appena richiamato, hanno avuto cura di tracciare il criterio distintivo tra le deliberazione assembleari "nulle" e quelle "annullabili" nei seguenti termini: "debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto" (Cass., Sez. Un., n. 4806 del 07/03/2005). Nella motivazione della richiamata pronuncia, le Sezioni Unite hanno individuato il criterio distintivo tra "nullità" e "annullabilità" nella contrapposizione tra "vizi di sostanza", come tali afferenti al contenuto delle deliberazioni, e "vizi di forma", afferenti invece alle regole procedimentali per la formazione delle deliberazioni assembleari: i "vizi di sostanza" determinanti la nullità delle deliberazioni assembleari - è detto - ricorrerebbero quando queste ultime presentano un oggetto impossibile o illecito; i "vizi di forma", determinanti invece l'annullabilità, ricorrerebbero quando le deliberazioni sono state assunte dall'assemblea senza l'osservanza delle forme prescritte dall'art. 1136 c.c. per la convocazione, la costituzione, la discussione e la votazione in collegio, pur sempre nei limiti delle attribuzioni specificate dagli artt. 1120, 1121, 1129, 1132, 1135 c.c..

 Il criterio distintivo enunciato dalla menzionata pronuncia, tuttavia, si è rivelato non del tutto adeguato, soprattutto con riferimento alle deliberazioni assembleari aventi ad oggetto la ripartizione, tra i condomini, delle spese afferenti alla gestione delle cose e dei servizi comuni in violazione dei criteri stabiliti dalla legge (artt. 1123 c.c. e segg.) o dal regolamento condominiale contrattuale. E' avvenuto così che, proprio nella materia della invalidità delle deliberazioni che ripartiscono le spese condominiali in violazione dei criteri legali o convenzionali, si è delineato un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte.

  Un primo indirizzo giurisprudenziale, rimasto fedele alla giurisprudenza tradizionale, ha affermato che sono affette da nullità soltanto le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini; mentre sono meramente annullabili - e, come tali, impugnabili nel termine di cui all'art. 1137 c.c., comma 2, - le delibere con cui l'assemblea, nell'esercizio delle attribuzioni previste dall'art. 1135 c.c., nn. 2 e 3, determina in concreto la ripartizione delle spese medesime in violazione dei criteri dettati dall'art. 1123 c.c. o stabiliti convenzionalmente da tutti i condomini (Cass., Sez. 2, n. 16793 del 21/07/2006; Cass., Sez. 2, n. 17101 del 27/07/2006; Cass., Sez. 2, n. 7708 del 29/03/2007; Cass., Sez. 2, n. 6714 del 19/03/2010; nello stesso senso, non massimate: Cass., Sez. 2, n. 3704 del 15/02/2011; Cass., Sez. 6-2, n. 27016 del 15/12/2011; Cass., Sez. 2, n. 11289 del 10/05/2018; Cass., Sez. 2, n. 10586 del 16/04/2019).

 Un secondo orientamento, però, ha affermato - in senso diametralmente opposto - che le deliberazioni dell'assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese sono da considerare nulle per impossibilità dell'oggetto, e non meramente annullabili, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, trattandosi di invalidità da ricondursi alla "sostanza" dell'atto e non connessa con le regole procedimentali relative alla formazione delle decisioni del collegio, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto (Cass., Sez. 2, n. 5814 del 23/03/2016; Cass., Sez. 2, n. 19651 del 04/08/2017; nello stesso senso, non massimate: Cass., Sez. 2, n. 27233 del 04/12/2013; Cass., Sez. 6-2, n. 6128 del 09/03/2017; Cass., Sez. 6-2, n. 29217 del 13/11/2018; Cass., Sez. 6-2, n. 29220 del 13/11/2018; Cass., Sez. 6-2, n. 33039 del 20/12/2018; Cass., Sez. 2, n. 470 del 10/01/2019).

 Quest'ultimo orientamento giurisprudenziale ritiene che le deliberazioni di ripartizione degli oneri condominiali adottate a maggioranza in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 c.c. e segg., seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, sarebbero nulle per impossibilità dell'oggetto perchè eccedenti le attribuzioni dell'assemblea; e d'altra parte - si osserva - tali deliberazioni finiscono per incidere negativamente sulla sfera patrimoniale del singolo condomino, allo stesso modo delle delibere c.d. normative (che stabiliscono i criteri di ripartizione delle spese per il futuro), cosicché l'adozione di esse necessiterebbe dell'accordo unanime di tutti i condomini. A fronte di questo rinnovato contrasto di giurisprudenza, le Sezioni Unite ritengono di dover ribadire i principi già affermati con la propria sentenza n. 4806 del 2005, nei termini e con le precisazioni che seguono.

 6.1. - E' necessario ricordare che la figura giuridica del condominio degli edifici si caratterizza per la coesistenza, accanto alle proprietà individuali, di una comunione forzosa tra tutti i condomini sugli elementi del fabbricato la cui utilizzazione è necessaria ai fini del godimento delle singole proprietà individuali. Le parti comuni dell'edificio e i servizi comuni sono amministrati dalla volontà del gruppo; tuttavia, affinchè sia evitata la paralisi della gestione comune, tale volontà collettiva non si forma mediante il metodo contrattuale del consenso reciproco (nel quale può operare lo ius prohibendi), ma si forma mediante il "metodo collegiale", che assegna ogni potere decisionale all'assemblea dei condomini, la quale Delib. secondo il principio della maggioranza (c.d. "principio maggioritario").

 La volontà della maggioranza, formatasi secondo le regole e i criteri previsti dalla legge, è vincolante per tutti i condomini, anche per quelli assenti o dissenzienti (art. 1137 c.c., comma 1). La preoccupazione del legislatore di assicurare la certezza dei rapporti giuridici di una entità così complessa, come il condominio degli edifici, spiega perchè la relativa disciplina normativa sia improntata ad un chiaro favor per la stabilità delle deliberazioni dell'assemblea dei condomini, che sono efficaci ed esecutive finchè non vengano rimosse dal giudice (art. 1137 c.c., comma 3), e perchè tale disciplina non contempli alcuna ipotesi di nullità delle Delib. dell'assemblea condominiale, che renderebbe le medesime esposte in perpetuo all'azione di nullità, proponibile senza limiti di tempo da chiunque vi abbia interesse. Questa mancata previsione di fattispecie di nullità delle deliberazioni dell'assemblea condominiale è particolarmente significativa, dal momento che la disciplina delle società (le quali pure sono rette dal principio maggioritario) prevede limitate peculiari ipotesi di nullità delle deliberazioni adottate dell'assemblea dei soci (cfr. art. 2379 c.c.).

  La recente riforma del condominio ha poi accentuato il disfavore per le figure di nullità delle deliberazioni assembleari. L'art. 1137 c.c., nel testo introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, art. 15 configura ora espressamente l'impugnazione delle delibere condominiali come una azione di "annullamento" (il testo originario dell'art. 1137 c.c. non parlava espressamente di azione di annullamento), da proporre "contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio".

 Il tenore amplissimo della disposizione non lascia dubbi sull'intento del legislatore di ricondurre ogni forma di invalidità delle deliberazioni assembleari, senza distinzioni, alla figura della "annullabilità" e di porre così a carico del singolo condomino l'onere esigibile sul piano della diligenza - di verificare, una volta ricevuta comunicazione di una deliberazione dell'assemblea, la sussistenza di eventuali vizi della stessa e, in caso positivo, di impugnarla, chiedendone l'annullamento.

 Il tenore dell'art. 1137 c.c. non deve, tuttavia, ingannare: esso non consente di ritenere che la categoria della nullità sia interamente espunta dalla materia delle deliberazioni dell'assemblea dei condomini. Esistono categorie, nel mondo del diritto, che non sono monopolio del legislatore, ma scaturiscono spontaneamente dal sistema giuridico, al di fuori e prima della legge. Quanto detto vale per il concetto di "nullità" degli atti giuridici, concetto di teoria generale del diritto elaborato dalla pandettistica tedesca in contrapposizione a quello di annullabilità - del quale non può essere negato, come sempre la dottrina e la giurisprudenza hanno riconosciuto, un limitato ambito applicativo con riferimento alle deliberazioni dell'assemblea condominiale affette dai vizi più gravi. Storicamente la nozione di nullità è stata collegata alla "deficienza strutturale" dell'atto giuridico, ossia alla mancanza o alla impossibilità di un elemento costitutivo o di un requisito legale di efficacia; ma tale figura di invalidità è divenuta anche strumento di "controllo normativo", destinato a negare tutela giuridica agli interessi in contrasto con i valori fondamentali del sistema, con i valori preminenti della comunità.

 E' così che l'art. 1418 c.c. pone, tra le cause di nullità del contratto, la mancanza di uno degli elementi essenziali (l'accordo delle parti; la causa; l'oggetto; la forma quando richiesta a pena di nullità), accanto alla sua illiceità, intesa come contrarietà alle norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume. Si tratta, allora, di verificare in quali termini le fattispecie di nullità, previste dall'art. 1418 c.c. per il contratto, possano valere per le deliberazioni dell'assemblea del condominio e in quali termini esse siano compatibili col carattere collegiale dell'assemblea e col principio maggioritario; tenendo presente che l'ambito in cui esse possono operare è comunque circoscritto dalla disciplina posta dall'art. 1137 c.c. In particolare, nel compiere tale verifica, va tenuto presente che, con la disposizione dell'art. 1137 c.c., il legislatore - mosso dall'intento di favorire la sanatoria dei vizi e il consolidamento degli effetti delle deliberazioni dell'assemblea condominiale - ha elevato la categoria della annullabilità a "regola generale" della invalidità delle deliberazioni assembleari, confinando così la nullità nell'area della residualità e della eccezionalità (ciò trova conferma nel fatto che, con la citata riforma del 2012, sono state introdotte - all'art. 1117 ter c.c., comma 3 e art. 1129 c.c., comma 14, - alcune speciali fattispecie di nullità, peraltro non direttamente relative alle deliberazioni assembleari). Tenendo presente quanto appena detto, può ora ricercarsi lo spazio che, nella disciplina codicistica del condominio, residua per la categoria della "nullità" con riguardo alle deliberazioni dell'assemblea dei condomini.

 6.2. - Innanzitutto, proprio considerando il fatto che la categoria della annullabilità è stata elevata dal legislatore a "regola generale" delle deliberazioni assembleari viziate, è possibile cogliere l'inadeguatezza del criterio distintivo tra nullità e annullabilità fondato sulla contrapposizione tra "vizi di sostanza" e "vizi di forma". L'art. 1137 c.c. sottopone inequivocabilmente al regime dell'azione di annullamento, senza distinzioni, tutte "le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento condominiale"; ciò vuol dire che, secondo la disposizione in esame, sono annullabili non solo le deliberazioni assembleari che presentano vizi di forma, afferenti cioè alle regole procedimentali dettate per la loro formazione, ma anche quelle che presentano vizi di sostanza, afferenti al contenuto del deliberato.

 Afferiscono senz'altro al contenuto delle deliberazioni dell'assemblea condominiale le numerose disposizioni di legge che disciplinano la ripartizione delle spese tra i condomini: così, innanzitutto, l'art. 1123 c.c., che detta il criterio generale per cui "Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione"; ma anche le altre disposizioni particolari che dettano specifici criteri di ripartizione con riferimento all'oggetto della spesa (così, l'art. 1124 c.c., in tema di ripartizione delle spese per la manutenzione e la sostituzione delle scale e degli ascensori; l'art. 1125 c.c., in tema di ripartizione delle spese per la manutenzione e la ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai; e lo stesso art. 1126 c.c., in tema di ripartizione delle spese per le riparazioni o le ricostruzioni dei lastrici solari di uso esclusivo).

 La violazione di tali disposizioni dà luogo a deliberazioni assembleari "contrarie alla legge" con riferimento al loro "contenuto" e, perciò, affette da un vizio di "sostanza"; ma ciò non esclude che tale vizio rientri, in via di principio, tra quelli per i quali l'art. 1137 c.c. prevede l'azione di annullamento. D'altra parte, deve escludersi che le deliberazioni che ripartiscano le spese tra i condomini in contrasto con i criteri legali o convenzionali siano adottate in carenza di potere da parte dell'assemblea. Infatti, il codice civile espressamente riconosce, tra le attribuzioni dell'assemblea condominiale da adottare col metodo maggioritario, l'approvazione e la ripartizione delle spese per la gestione ordinaria e straordinaria delle parti e dei servizi comuni (art. 1135 c.c., nn. 2 e 4, artt. 1120, 1123, 1128 c.c.). Tali attribuzioni non vengono meno quando l'assemblea incorra in un cattivo esercizio del potere ad essa conferito, adottando un errato criterio di ripartizione delle spese, contrastante con la legge o col regolamento condominiale. Invero, l'attinenza di una deliberazione alle attribuzioni assembleari va apprezzata avendo riguardo alla corrispondenza della materia deliberata a quella attribuita dalla legge, ossia avendo riguardo all'esistenza del potere, e non al modo in cui il potere è esercitato. Neppure le deliberazioni che ripartiscono le spese tra i condomini in violazione dei criteri di legge o convenzionali potrebbero ritenersi nulle per il fatto che esse finiscono per incidere negativamente, pregiudicandola, sulla "sfera patrimoniale" dei singoli condomini. Anche deliberazioni pacificamente annullabili (ad es. una deliberazione adottata in assenza di comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea a taluno dei condomini) possono provocare ricadute negative sul patrimonio di singoli condomini; ciò non vale, tuttavia, a ritenere tali deliberazioni affette da nullità.

 6.3. - Ritiene il Collegio che la categoria giuridica della nullità, con riguardo alle deliberazioni dell'assemblea dei condomini, ha una estensione del tutto residuale rispetto alla generale categoria della annullabilità, attenendo essa a quei vizi talmente radicali da privare la deliberazione di cittadinanza nel modo giuridico. In particolare, la deliberazione dell'assemblea dei condomini deve ritenersi affetta da nullità nei seguenti casi:

 1) "Mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali" (volontà della maggioranza; oggetto; causa; forma), tale da determinare la deficienza strutturale della deliberazione: è il caso, ad es., della deliberazione adottata senza la votazione dell'assemblea; o della deliberazione priva di oggetto, ossia mancante di un reale decisum ovvero con un oggetto non determinato nè determinabile; o della deliberazione priva di causa, carente cioè di una ragione pratica giustificativa della stessa che sia meritevole di tutela giuridica; o della deliberazione non risultante dal verbale dell'assemblea, sprovvista perciò della necessaria forma scritta.

 2) "Impossibilità dell'oggetto, in senso materiale o in senso giuridico", da intendersi riferito al contenuto (c.d. decisum) della deliberazione. L'impossibilità materiale dell'oggetto della deliberazione va valutata con riferimento alla concreta possibilità di dare attuazione a quanto deliberato; l'impossibilità giuridica dell'oggetto, invece, va valutata in relazione alle "attribuzioni" proprie dell'assemblea. In ordine all'impossibilità giuridica dell'oggetto, vale la pena di osservare che l'assemblea, quale organo deliberativo della collettività condominiale, può occuparsi solo della gestione dei beni e dei servizi comuni; essa è abilitata ad adottare qualunque provvedimento, anche non previsto dalla legge o dal regolamento di condominio (avendo le attribuzioni indicate dall'art. 1135 c.c. carattere meramente esemplificativo), purché destinato alla gestione delle cose e dei servizi comuni. Perciò, l'assemblea non può perseguire finalità extracondominiali (Cass., Sez. 2, n. 5130 del 06/03/2007); e neppure può occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi, giacchè qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell'edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell'assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi. E allora, il potere deliberativo dell'assemblea in tanto sussiste in quanto l'assemblea si mantenga all'interno delle proprie attribuzioni; ove l'assemblea straripi dalle attribuzioni ad essa conferite dalla legge, la deliberazione avrà un oggetto giuridicamente impossibile e risulterà viziata da "difetto assoluto di attribuzioni".

 Il "difetto assoluto di attribuzioni" è un vizio che non attiene al quomodo dell'esercizio del potere, ma attiene all'an del potere stesso; esso non dipende dal cattivo esercizio in concreto di un potere esistente, ma dalla carenza assoluta in astratto del potere esercitato: in tali casi, la deliberazione non è idonea a conseguire l'effetto giuridico che si proponeva, risultando affetta da nullità radicale per "impossibilità giuridica" dell'oggetto.

 Non così avviene, invece, quando l'assemblea adotti una deliberazione nell'ambito delle proprie attribuzioni, ma eserciti malamente il potere ad essa conferito; quando essa adotti una deliberazione violando la legge, ma senza usurpare i poteri riconosciuti dall'ordinamento ad altri soggetti giuridici: in tali casi, la deliberazione "contraria alla legge" è semplicemente annullabile, secondo la regola generale posta dall'art. 1137 c.c. 3) "Illiceità". Si tratta di quei casi in cui la deliberazione assembleare, pur essendo stata adottata nell'ambito delle attribuzioni dell'assemblea, risulti avere un "contenuto illecito" (art. 1343 c.c.), nel senso che il decisum risulta contrario a "norme imperative", all'"ordine pubblico" o al "buon costume".

 Sono nulle, innanzitutto, le deliberazioni assembleari che abbiano un contenuto contrario alle norme imperative. Le norme imperative sono quelle norme non derogabili dalla volontà dei privati, poste a tutela degli interessi generali della collettività sociale o di interessi particolari che l'ordinamento reputa indisponibili, assicurandone comunque la tutela. Nella disciplina del condominio degli edifici, le norme inderogabili sono specificamente individuate dall'art. 1138 c.c., comma 4, e art. 72 disp. att. c.c..

 Parimenti vanno ritenute nulle le deliberazioni assembleari che abbiano un contenuto contrario all'ordine pubblico, inteso quale complesso dei principi generali dell'ordinamento (tale sarebbe, ad es., una deliberazione che introducesse discriminazioni di sesso o di razza tra i condomini nell'uso delle cose comuni); ovvero che abbiano un contenuto contrario al buon costume, inteso quest'ultimo come il complesso delle regole che costituiscono la morale della collettività sociale in un dato ambiente e in un determinato tempo. In questi casi, la deliberazione assembleare, nonostante verta su una materia rientrante nelle attribuzioni dell'assemblea, si pone però in tale contrasto con i valori giuridici fondamentali dell'ordinamento da non poter trovare alcuna tutela giuridica, sicchè la sua nullità può essere fatta valere in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse (anche da parte del condomino che abbia votato a favore della sua approvazione). Al di fuori di tali ipotesi, deve ritenersi che ogni violazione di legge determina la mera annullabilità della deliberazione, che può essere fatta valere solo nei modi e nei tempi di cui all'art. 1137 c.c.

  6.4. - Rimane a questo punto da stabilire, alla luce dei criteri appena enunciati, se le deliberazioni assembleari che ripartiscono le spese condominiali in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o dal regolamento condominiale contrattuale configurino o meno una delle ipotesi di nullità sopra esaminate.

 Ritiene il Collegio - così confermando quanto già affermato da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 4806 del 2005 - che le delibere in materia di ripartizione delle spese condominiali sono nulle per "impossibilità giuridica" dell'oggetto ove l'assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condomini, da valere - oltre che per il caso oggetto della Delib. - anche per il futuro; mentre sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi nel singolo caso deliberato. In proposito, va osservato che le attribuzioni dell'assemblea in tema di ripartizione delle spese condominiali sono circoscritte, dall'art. 1135 c.c., nn. 2 e 3, alla verifica ed all'applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge e non comprendono il potere di introdurre modifiche ai criteri legali di riparto delle spese, che l'art. 1123 c.c. consente solo mediante apposita convenzione tra tutti i partecipanti al condominio; di modo che l'assemblea che deliberi a maggioranza di modificare, in astratto e per il futuro, i criteri previsti dalla legge o quelli convenzionalmente stabiliti (delibere c.d. normative) si troverebbe ad operare in "difetto assoluto di attribuzioni".

 Al contrario, non esorbita dalle attribuzioni dell'assemblea la deliberazione che si limiti a ripartire in concreto le spese condominiali, anche se la ripartizione venga effettuata in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o convenzionalmente, in quanto una siffatta deliberazione non ha carattere normativo e non incide sui criteri generali, valevoli per il futuro, dettati dall'art. 1123 c.c. e segg. o stabiliti convenzionalmente, nè è contraria a norme imperative; pertanto, tale Delib. deve ritenersi semplicemente annullabile e, come tale, deve essere impugnata, a pena di decadenza, nel termine (trenta giorni) previsto dall'art. 1137 c.c., comma 2.

 6.5. - Alla stregua di quanto sopra, vanno enunciati, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, i seguenti principi di diritto:

 - "In tema di condominio negli edifici, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell'assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico - dando luogo, in questo secondo caso, ad un "difetto assoluto di attribuzioni" - e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all'ordine pubblico" o al "buon costume"; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l'azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all'art. 1137 c.c.";

 - "In tema di deliberazioni dell'assemblea condominiale, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell'assemblea previste dall'art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell'esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicchè la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall'art. 1137 c.c., comma 2".

 

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©