Penale

Il comportamento imprudente del lavoratore non "salva" il datore che non messo in sicurezza il macchinario

Lo ha ribadito la sentenza n. 2848 del 25 gennaio 2021 depositata dalla Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione

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di Jessica Verduci

Il datore di lavoro e, in generale, chi è obbligato ad adottare le misure di prevenzione è esonerato da responsabilità solo quando sia dimostrata allo stesso tempo l'abnormità del comportamento posto in essere dal lavoratore infortunato e che tale abnormità abbia dato causa all'evento. In ogni caso l'eventuale colpa del lavoratore non ha efficacia esimente nei confronti di coloro che rivestono una posizione di garanzia nella prevenzione degli infortuni sul lavoro e che siano responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica. Ciò con specifico riferimento all' ipotesi in cui la condotta del lavoratore rientri nelle attribuzioni specificamente assegnategli. È quanto stabilito dalla sentenza n. 2848 del 25 gennaio 2021 depositata dalla Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, che è tornata a ribadire alcuni principi di diritto consolidati in tema di responsabilità per gli infortuni sul lavoro.

Il caso esaminato
La vicenda, presa in esame dalla Suprema Corte, riguarda il danno non patrimoniale subito da un lavoratore intento a pulire una macchina pellettatrice priva di sistemi di sicurezza.
La Corte d'Appello, confermando la sentenza pronunciata dal Tribunale, considerò responsabili il legale rappresentante della società e il direttore dello stabilimento di non aver munito la macchina di opportuni presidi antinfortunistici (tra i quali un temporizzatore), consentendo così che il lavoratore, dopo aver aperto il coperchio della macchina per pulirla, vi infilasse una mano mentre il macchinario era ancora in moto per inerzia. La società stessa fu inoltre ritenuta responsabile in via oggettiva del delitto di lesioni personali colpose gravissime, commesso nel suo interesse o a suo vantaggio dai predetti dirigenti in violazione delle norme sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
I responsabili del danno adirono la Suprema Corte, con un atto affidato a sei motivi, nei quali dedussero perlopiù un'omessa verifica da parte della Corte d'Appello del carattere esorbitante della condotta della persona offesa. In particolare, i ricorrenti sostennero che l'infortunio fosse riconducibile alla volontaria e consapevole esposizione al pericolo da parte del lavoratore.

La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione, confermando le pronunce di merito, rigettò integralmente il ricorso motivando che la condotta posta in essere dall'infortunato non potesse essere ritenuta esorbitante, ma che anzi si collocava nell'ambito delle attività che il lavoratore doveva esplicare e che, dunque, costituiva un comportamento prevedibile.
In conformità con innumerevoli pronunce precedenti, la Suprema Corte infatti osservò che:
- da un lato "il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro";
- dall'altro "nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro e di coloro che rivestono una posizione di garanzia rispetto alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente o imprudente del medesimo lavoratore infortunato, quando l'evento sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente".
Nel caso in esame venne quindi affermato che la condotta del lavoratore costituiva un comportamento prevedibile dato che, per pulire il macchinario, era necessario introdurre le mani e dato che i lavoratori tendono a sottovalutare i rischi e le difficoltà delle operazioni che compiono in modo ripetitivo. Pertanto, se la società si fosse occupata della manutenzione del macchinario e lo avesse munito di un temporizzatore idoneo a fermare i meccanismi della pellettatrice nel momento in cui veniva spenta – come già aveva fatto per altre due macchine dello stesso tipo – l'infortunio non sarebbe accaduto. A nulla valse poi che il datore di lavoro avesse predisposto un protocollo di sicurezza volto a minimizzare i rischi lavorativi, dato che non era seguita l'adozione delle misure necessarie a neutralizzare i rischi ravvisati.

La responsabilità dell'ente
Per quanto attiene infine all'imputazione di responsabilità elevata alla società in sede di merito, la Corte di Cassazione ricordò che l'ente è responsabile in via oggettiva se coloro che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell'ente commettono reati nel suo interesse o a suo vantaggio patrimoniale. Pertanto, l'ente non risponde solamente se costoro hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.
Dunque la Corte di Cassazione, ritenendo legittima la condanna elevata alla società in primo grado, ribadì che costituisce principio ormai consolidato quello secondo cui, "nei reati colposi, l'interesse e/o il vantaggio si ricollegano al risparmio nelle spese che l'ente dovrebbe sostenere per l'adozione delle misure precauzionali ovvero nell'agevolazione dell'aumento di produttività che può derivare, per l'ente, dallo sveltimento dell'attività lavorativa, favorita dalla mancata osservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, ne avrebbe rallentato i tempi".
La responsabilità dell'ente per i reati di omicidio colposo o lesioni colpose, commessi dai suoi organi apicali in violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro, può essere tuttavia esclusa se viene dimostrata l'adozione e l'efficace attuazione di modelli organizzativi (Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 30) e l'attribuzione a un organismo autonomo del potere di vigilanza sul funzionamento, l'aggiornamento e l'osservanza dei modelli adottati.
Secondo la Suprema Corte, tuttavia, nel caso di specie, non risultò che l'ente avesse provato la sussistenza delle circostanze che avrebbero potuto escluderne la responsabilità, infatti la società aveva mantenuto in azienda un macchinario non conforme alla normativa di prevenzione.
Tale circostanza fu pertanto idonea a integrare il delitto di lesioni colpose commesso nell'interesse dell'ente, in quanto la condotta omissiva del legale rappresentante, da cui deriva causalmente l'evento lesivo, consentì alla società un risparmio di spesa, consistito nel mancato acquisto di un nuovo macchinario o nell'aggiornamento di quello esistente.

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