Il consenso privacy è validamente prestato se libero, espresso e specifico rispetto a un dato trattamento
Il rapporto associativo tra socio-lavoratore e cooperativa non determina un valido assenso all'utilizzo di dati personali decisi dall'assemblea
Il consenso a uno specifico trattamento di dati personali per essere valido deve essere prestato in maniera espressa, libera e specifica.
Ciò significa che è legittimo il trattamento di dati personali solo se fondato su un consenso del singolo puntuale e specificatamente riferito alle modalità trattamentali previste.
Non è quindi legittimo far derivare il consenso a un dato trattamento da delibere assembleari adottate a maggioranza anche se il singolo ha preso parte alla votazione. La Cassazione con la sentenza n. 17911/2022 fissa della validità del consenso privacy in ambito associativo e di lavoro.
La vicenda vedeva una società cooperativa che in qualità di datore di lavoro renedeva pubbliche le performance lavorative dei dipendenti o soci-lavoratori al fine di attribuire loro un punteggio nell'ambito di un concorso interno sulla qualità del lavoro. Regolarmente venivano esposti in bacheca aperta al pubblico i nomi e le foto dei dipendenti corredati di emoticon Smile (le cosiddette "faccine") che - abbinate ad indicazioni del tipo "malattia", "assenteismo o altro genere di rilievi - davano la possibilità, non solo alle persone interne all'ente, ma anche ai terzi estranei che entravano nella sede, di visionare performance e giudizi relativi ai lavoratori.
Ebbene la Cassazione respinge l'argomento difensivo della società che sosteneva che i lavoratori avevano prestato specifico consenso a tale trattamento dei loro dati personali attraverso l'approvazione assembleare del concorso interno "Qualità del lavoro".
Infatti i giudici di legittimità precisano che il principio, in base a cui il consenso è valido solo se specificatamente e volontariamente prestato impedisce di affermare che il singolo possa acconsentire tramite una delibera ssembleare assunta a maggioranza. Non si può far derivare - la Cassazione afferma - dal voto assunto a maggioranza il consenso a un trattamento così invasivo come quello che mette a disposizione del pubblico dati personali relativi all'attività lavorativa e specificatanmente mirato sui rilievi disciplinari.
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