Amministrativo

Il Consiglio di Stato boccia per illegittimità il decreto copia privata

Secondo i giudici sono opachi i criteri di esenzione ed è difficile ottenere i rimborsi nei casi previsti

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di Luigi Mansani

Con la sentenza del 3 febbraio scorso il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittimo il decreto sui compensi per copia privata, in quanto, fra le altre ragioni: (a) «non detta criteri predefiniti, oggettivi e trasparenti per individuare le singole fattispecie concrete in cui è possibile beneficiare dell’esenzione»; (b) in assenza di quei criteri, attribuire alla Siae il potere di stabilire quando accordare l’esenzione si traduce in un potere discrezionale, illegittimo anche per il conflitto di interessi dell’ente; (c) anche il sistema dei rimborsi, in assenza di criteri predefiniti e oggettivi, è «aleatorio, e rende eccessivamente difficoltosa la restituzione di quanto indebitamente corrisposto»; (d) illegittima è pure la richiesta della dichiarazione dell’acquirente finale, sia perché la catena distributiva degli apparecchi «prevede, generalmente, passaggi intermedi, che rendono difficile la possibilità di contatto con l’utilizzatore finale», sia perché quest’ultimo non può essere obbligato a rendere la dichiarazione, «per cui, in sostanza, il diritto al rimborso viene a dipendere dal volere di un terzo». Alla luce di questa decisione, il legislatore potrà fare piazza pulita, come il Regno Unito, o rendere l’esazione semplice, chiara e immediata, stabilendo che al momento dell’acquisto finale al prezzo del dispositivo si aggiunge il compenso se l’acquirente è un utente privato, ma non quando ha una partita Iva e il dispositivo viene acquistato come bene strumentale. O invece, per l’ennesima volta, lascerà tutto com è, creando ulteriori incertezze economiche e contenziosi.

Il compenso per copia privata fu introdotto quando il file sharing era un fenomeno di massa e fu legato alla capacità di memoria dei dispositivi. Sono passati 25 anni, la musica si ascolta gratis o pagando pochi euro su varie piattaforme, ma il balzello è rimasto e anzi è più alto perché la memoria degli apparecchi è centuplicata. In origine la legge non prevedeva meccanismi di esenzione per gli usi professionali, ma solo un rimborso agli acquirenti finali, per ottenere il quale occorreva compilare una complicata modulistica e allegare documenti. Naturalmente non lo faceva nessuno, consentendo a Siae di incassare decine di milioni di euro non dovuti. La questione era così finita davanti alla Corte di Giustizia che, nel 2015, stabilì che la normativa italiana era illegittima e andava cambiata, per molteplici ragioni fra cui l’impossibilità per produttori e importatori di chiedere l’esenzione per le vendite professionali e il fatto che le procedure di rimborso fossero inutilmente complesse. Nel 2019 la normativa è cambiata ma in peggio: i rimborsi sono rimasti complicati, per ottenere l’esenzione produttori e importatori devono presentare un’istanza, con i dati dell’acquirente finale di ciascun apparecchio e una dichiarazione del legale rappresentante che non sarebbe stato usato per fare copie di materiali protetti da copyright.

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