Il curatore fallimentare ha l'onere di ripristino e smaltimento dei rifiuti ai sensi dell'art. 192 del Codice dell'Ambiente
Con la sentenza n. 3 del 26 gennaio 2021, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha statuito che l'onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui dell'articolo192 del D lgs 152/2006 rientra nell'ambito della curatela fallimentare e che, i relativi costi, gravano sulla massa fallimentare
Con la sentenza n. 3 del 26 gennaio 2021, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha statuito che l'onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui dell'art. 192 del D. lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell'Ambiente) rientra nell'ambito della curatela fallimentare e che, i relativi costi, gravano sulla massa fallimentare. La Quarta Sezione del Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato., Sez. IV., 15 settembre 2020, n. 5454), infatti, aveva deferito all'Adunanza Plenaria la questione se, a seguito della dichiarazione di fallimento, vengano meno gli obblighi giuridici cui era tenuta la società fallita ai sensi dell'art. 192 del D. lgs. n. 152/2006, nonostante il curatore fallimentare "gestisca" proprio il patrimonio del bene della società fallita e ne abbia la disponibilità materiale.
Nella fattispecie in oggetto, il Comune di Vicenza aveva emesso un'ordinanza contingibile e urgente, ai sensi dell'art. 192 D. lgs. n. 152/2006 e dell'art. 50, comma 5, del D. lgs. n. 267/2000 (c.d. Testo Unico degli Enti Locali), nei confronti del curatore fallimentare, ingiungendogli la rimozione, l'avvio a recupero, lo smaltimento dei rifiuti ed il ripristino dello stato dei luoghi. Tuttavia, il curatore fallimentare aveva rappresentato di non essere obbligato e di non poter svolgere tali attività per insufficienza di fondi nella massa attiva e, consequenzialmente, ha impugnato dinnanzi al TAR l'ordinanza contestando la titolarità passiva, in capo allo stesso curatore fallimentare, degli obblighi di smaltimento di cui all'art. 192 del D. lgs. n. 152/2006.
Sul punto, nella giurisprudenza amministrativa sono emersi due distinti orientamenti.
Un primo orientamento escludeva il curatore fallimentare dall'ambito di applicazione degli obblighi di rimozione dei rifiuti di cui all'art. 192, comma 3, del D. lgs. n. 152/2006. Secondo tale interpretazione, il curatore fallimentare non poteva essere considerato soggetto responsabile del recupero e smaltimento dei rifiuti non essendo il curatore fallimentare custode degli immobili di proprietà del fallito (cfr. T.A.R., Trento, Sez. I, 20 marzo 2017, n. 93; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 03 marzo 2017, n. 520).
Diversamente, per il secondo orientamento giurisprudenziale, compatibile con le disposizioni eurounitarie e condiviso dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, gli obblighi di rimozione dei rifiuti di cui all'art. 192, comma 3, del D. lgs. n. 152/2006, rientrerebbero tra gli oneri della curatela fallimentare poiché, a seguito della dichiarazione di fallimento, il curatore acquista la qualifica di detentore dei siti ove i rifiuti sono posti.
L'orientamento de quo è mutuato dal principio europeo del "chi inquina paga". La disciplina eurounitaria (cfr. Direttiva 2008/98) ha previsto che gli oneri e i costi di gestione e smaltimento dei rifiuti, vadano attribuiti al produttore iniziale, ai detentori precedenti dei rifiuti oppure "ai detentori del momento". Infatti, il diritto europeo prevede quale obiettivo fondamentale la tutela dell'ambiente mediante la rimozione dei rifiuti che, devono essere in ogni caso rimossi, anche in ipotesi di cessazione dell'attività d'impresa. In tal caso, il soggetto responsabile è colui che esercita la curatela fallimentare amministrando il patrimonio del fallito.
L'Adunanza Plenaria, aderendo alla tesi della responsabilità oggettiva in materia di rimozione dei rifiuti, ha chiarito che, l'esclusione dell'applicazione dell'art. 192, comma 3, del D. lgs. n. 152/2006 è applicabile solo ai soggetti non detentori del sito. Diversamente, l'onere di rimozione deve ricadere sull'attivo fallimentare, quale naturale conseguenza della funzione di garanzia che assume il detentore dei siti in cui sono abbandonati i rifiuti, in precedenza sede dell'impresa fallita.
Il Collegio ha statuito che "poiché l'abbandono dei rifiuti e, più in generale, l'inquinamento costituiscono "diseconomie esterne" generate dall'attività di impresa (cd. "esternalità negative di produzione"), appare giustificato e coerente con tale imposizione ritenere che i costi derivanti da tali esternalità di impresa ricadano sulla massa dei creditori dell'imprenditorialità stesso che, per conto, beneficiano degli effetti dell'ufficio fallimentare della curatela in termini di ripartizione degli eventuali utili del fallimento".
Definitivamente, il Giudice Amministrativo, intervenuto in funzione nomofilattica, ha statuito perentoriamente che devono essere imputati al fallimento e, consequenzialmente, al curatore fallimentare gli obblighi di attuare le attività strumentali alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti. La Pubblica Amministrazione, nel caso sia intervenuta direttamente per effettuare la l'operazione di rimozione e smaltimento, potrà rivalersi sull'attivo fallimentare delle spese sostenute.
*Dott. Gianluca Briganti, Dottorando di Ricerca (Ph.D.) in Diritto Pubblico, Comparato e Internazionale Università di Roma "La Sapienza"