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Il danno da caduta dell’avvocato va provato

La contrazione del reddito dell’attività di un avvocato infortunato va provata perché la professione forense non è soggetta a un guadagno quotidiano legato all’apertura o meno dello studio ma è fatta di ricavi e di lavoro spalmati nel tempo

di Luana Tagliolini

La contrazione del reddito dell’attività di un avvocato infortunato va provata perché la professione forense non è soggetta a un guadagno quotidiano legato all’apertura o meno dello studio ma è fatta di ricavi e di lavoro spalmati nel tempo. È il principio applicato dalla Cassazione (ordinanza 3018/2023) alla fattispecie riguardante la caduta di un avvocato su una lastra di ghiaccio all’interno di un condominio. Il professionista aveva richiesto un cospicuo risarcimento ex articolo 2051 o, in subordine, ex articolo 2043 del Codice civile.

Il Tribunale accertava la concorrente responsabilità dell’attore nella colpa e la Corte di appello aggiungeva un ulteriore importo a titolo di personalizzazione del danno da invalidità permanente; non riconosceva, invece, il danno patrimoniale da contrazione dei redditi. L’avvocato proponeva perciò ricorso in Cassazione che veniva però rigettato. Non era stata dimostrata - confermavano i giudici di legittimità - l’esistenza di un danno risarcibile certo ed era impossibile o estremamente difficile provarlo nel suo preciso ammontare, non avendo riscontrato il Ctu alcun danno alla capacità lavorativa . Non è improbabile che un avvocato temporaneamente impossibilitato a muoversi, possa rinviare - si precisava - i propri appuntamenti e le proprie cause per motivi di salute, continuando a lavorare da casa redigendo atti o contattando i collaboratori di studio, evitando così di subire decrementi patrimoniali. Anche per la Cassazione, quindi, il danno non è in re ipsa, essendo necessaria la dimostrazione, quantomeno generica, della patita contrazione reddituale, ad esempio con la produzione delle sue dichiarazioni dei redditi prima e dopo il sinistro.

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