Il Decreto Giustizia arriva in “Gazzetta”senza sorprese, cronaca di una sfida senza coraggio
Le applicazioni “a distanza” di giudici provenienti da altri sedi (avrebbe dovuto essere 500 e sono quasi un terzo all’esito delle prime procedure del Csm) rischia di generare un prodotto giudiziario distonico
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 233 del 7 ottobre 2025 la legge 3 ottobre 2025, n. 148, recante la conversione del decreto legge 8 agosto 2025 n.117 , che reca «Misure urgenti in materia di giustizia». La legge 148/2025 costituisce una sorta di alambicco destinato a distillare soluzioni di lungo periodo per l’apparato giudiziario italiano che vanno, quindi, ben oltre l’intento del Governo di porre rimedio al ritardo nel raggiungimento degli obiettivi del PNRR entro il 30.6.2026.
L’applicazione a distanza dei magistrati e la scarsa adesione
Innanzitutto, perché si tratta di misure che solo in parte sono andate a segno (si pensi alla scarsa adesione dei magistrati alle applicazioni “a distanza” lo smaltimento del più risalente arretrato di molte sedi) e che, è logico prevedere, saranno rinegoziate con Bruxelles al momento dell’inevitabile slittamento del termine del 30.6.2026. Secondariamente perché il legislatore ha rimesso al Csm, che invero vi ha tempestivamente provveduto, di predisporre una sorta di impietoso frame dello stato di parecchie sedi giudiziarie di primo e secondo grado che, coerenza vorrebbe, dovrebbe avere un certo rilievo nella designazione dei prossimi dirigenti di quegli uffici.
Sul primo punto: sia per quanto riguarda la Corte di cassazione (articolo 1, comma 1), sia per gli uffici di merito di primo (con la supplenza rimessa ai giudici onorari di pace, articolo 1, comma 2) e secondo grado (articolo 2) si prevede una sorta di è downgrading dei requisiti di professionalità e di anzianità richiesta nella perfetta consapevolezza che solo in questo modo sia possibile recuperare risorse aggiuntive da destinare alla mission europea. È una scelta non inedita, ma che questa volta rischia di assumere connotati strutturali e irrevocabili particolarmente incisivi. È evidente che il sistema viene in questo modo polarizzato sul raggiungimento meramente quantitativo degli obiettivi di cui si discute; un percorso insidioso che determina inevitabilmente una sorta di ulteriore torsione dell’intero ordinamento verso il conseguimento di puri standard e quozienti numerici, indipendentemente dalla qualità del prodotto giudiziario - termine quanto meno inappropriato - ma che rende l’idea della completa conversione degli uffici in affannati opifici giudiziari.
L’esplosione delle impugnazioni
Il tutto senza considerare un dato del tutto allarmante: l’esplosione negli ultimi tre decenni del numero delle impugnazioni che hanno stremato Corti d’appello e Corte di cassazione proprio per l’effetto del complessivo scadimento della produzione giudiziaria sempre più orientata (almeno dalla legge Pinto in poi e a seguire dalle meticolose rilevazioni statistiche) verso la celere e massiccia definizione delle pendenze.
Il piano inclinato dello standard qualitativo della giurisdizione ha conseguenze, ovviamente, dirompenti sull’espansione del contenzioso in una corsa affannosa delle corti del gravame nel tener dietro un numero di impugnazioni elevatissime (senza precedenti in Europa) con la conseguente evaporazione di quella predittività delle decisioni assunte e di quella prevedibilità delle soluzioni approntate dai giudici che pur costituisce l’unico, sostanziale rimedio all’espansione delle liti.
Se il diritto giurisprudenziale avrebbe dovuto rappresentare l’approdo ultimo di una nomofilachia efficiente e “modernizzata” al passo dei tempi e soprattutto capace di abbattere il numero delle controversie e di generare virtuose prassi conciliative, la legge 148 del 2025 costituisce espressione di una visione che si muove – per ragioni contingenti comprensibili - in una direzione del tutto opposta, frantumando quel minimo di coerenza nelle decisioni che sarebbe lecito attendersi quanto meno nell’orizzonte ristretto dei tribunali e delle corti d’appello; ove, invece, le applicazioni “a distanza” di giudici provenienti da altri sedi (avrebbe dovuto essere 500 e sono quasi un terzo all’esito delle prime procedure del Csm) rischia di generare un prodotto giudiziario distonico rispetto alla traiettoria delle prassi e degli orientamenti “locali”.
Insomma, dopo il 30 giugno 2026 (o dopo l’ulteriore data concessa dall’Unione europea) il rischio è che molte di quelle sentenze siano impugnate scaricando sugli uffici di secondo e terzo grado l’onere di ricondurre a un simulacro di coerenza la giurisprudenza pretoria.
L’importante è uscire, dopo il PNRR e comunque vada, dalla logica emergenziale di questi atti. La legge 148 del 2025 è, come si vede, l’ulteriore frutto avvelenato consegnatoci dalla pandemia da Covid-19; se la trattazione scritta si è impadronita delle aule di giustizia di ogni grado, vulnerando il principio di oralità (cardine del contraddittorio), questa volta l’asticella è stata posta più in alto, incidendo sul gradiente qualitativo delle decisioni e tanto a prescindere dal valore professionale del singolo giudice applicato; non è questo il nocciolo della questione.
Dati sulla giustizia relativi al Pnrr: bene il penale, civile resta "arretrato"
di Marco Fabri, Dirigente di ricerca del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Bologna





