Penale

Il divieto di caccia vale anche per l'attività preparatoria e non solo per l'esercizio venatorio vero e proprio

Nell'accezione di caccia rientra anche tutta l'attività prodromica a quella vera e propria e la predisposizione dei mezzi e ogni altro atto diretto alla cattura e all'abbattimento della selvaggina

di Giampaolo Piagnerelli

La nozione di esercizio venatorio in zona vietata deve essere considerata in senso lato, ossia - spiega la Cassazione (sentenza n. 8086/2022) - nel concetto di caccia non rientra solo il gesto rituale del cacciatore sorpreso a sparare agli animali. In particolare, rilevano i Supremi giudici, nell'accezione di caccia rientra anche tutta l'attività prodromica all'attività vera e propria e la predisposizione dei mezzi e ogni altro atto diretto alla cattura e all'abbattimento della selvaggina (in tal senso qualificabile dal complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui esso viene posto in essere).

La vicenda. Nella specie il ricorrente era munito di fucile e cartucce ed era in compagnia di un cane. Di qui i giudici di merito hanno ricostruito il nesso di causalità tra l'attrezzatura complessiva e la finalità di quest'ultima ai fini dell'applicazione della sanzione. Secondo i magistrati di merito il divieto di caccia vale anche per l'attività preparatoria e non solo per l'esercizio venatorio vero e proprio, elementi questi che deponevano per la malafede e, quindi, per la condanna del ricorrente.

Le motivazioni della Suprema corte.La Cassazione considerando l'insieme dei fatti non ha preso in considerazione l'ipotesi di oblazione facoltativa (ossia il semplice pagamento di una sanzione per l'illecito commesso), in quanto non era stato provato nei giudizi di merito che l'imputato avesse dimostrato di aver richiesto al giudice di essere ammesso all'oblazione presentando apposita domanda all'Ufficio del Gip decreti penali. (sul punto si veda anche la sentenza n. 18307/2010).

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