Amministrativo

Il divieto italiano agli Ncc con autorizzazione estera non viola le norme Ue

La libertà di stabilimento non c’entra: un operatore di noleggio con conducente (Ncc) con sede principale nella Ue non può lavorare in Italia col solo titolo ottenuto nel suo Paese, perché in materia di trasporti valgono le normative nazionali, come quella italiana che impone di avere l’autorizzazione di un Comune

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di Maurizio Caprino

La libertà di stabilimento non c’entra: un operatore di noleggio con conducente (Ncc) con sede principale nella Ue non può lavorare in Italia col solo titolo ottenuto nel suo Paese, perché in materia di trasporti valgono le normative nazionali, come quella italiana che impone di avere l’autorizzazione di un Comune. Così il Consiglio di Stato (Quinta sezione, sentenza 5756 dell’11 luglio) ribalta la pronuncia del Tar Lazio che un anno fa aveva fatto notizia (si veda Il Sole 24 Ore del 24 agosto 2021), sul caso di un Ncc italiano che si era stabilito in Slovenia tenendo a Roma, dove operava, solo una sede secondaria. Ma nel frattempo il Codice della strada è cambiato e l’interpretazione del Consiglio di Stato ora potrebbe non bastare a impedire fenomeni di questo tipo.

Lo si può capire da come è nata la controversia. La Polizia locale aveva multato l’Ncc non per esercizio abusivo dell’attività (articolo 85 del Codice), forse perché il comma 3 potrebbe essere letto in modo da salvare anche gli “stranieri”, se dalla carta di circolazione (estera) del veicolo risulta l’esistenza di un titolo autorizzativo emesso nello Stato di origine. La sanzione era in base all’articolo 93, che all’epoca vietava (salvo poche eccezioni) a residenti in Italia di guidare veicoli con targa estera. La norma imponeva di reimmatricolare il mezzo in Italia, salvo farlo uscire subito dal territorio nazionale. Ma, nel caso dell’Ncc sloveno, la Motorizzazione ha negato le targhe italiane perché l’immatricolazione sarebbe stata a uso noleggio e per ottenerla occorre un titolo autorizzativo nazionale. Di qui il ricorso dell’Ncc, che ha vinto al Tar e perso al Consiglio di Stato.

Ma il 19 marzo scorso è entrato in vigore il nuovo articolo 93-bis, che consente di guidare veicoli con targa estera anche a residenti in Italia, a patto che i mezzi siano iscritti in un apposito registro presso il Pra: il Reve. La norma, oltre a prestarsi a vari abusi (si veda Il Sole 24 Ore del 28 marzo), non considera il caso dei mezzi che in Italia sono immatricolabili solo con un titolo autorizzativo, per cui l’iscrizione al Reve non è vietata a un veicolo adibito a noleggio o ad altri usi che richiedono un titolo. L’articolo 85, poi, è rimasto invariato. Motivi per cui oggi quello stesso Ncc sloveno, se venisse fermato in Italia, difficilmente potrebbe essere sanzionato. O, se lo fosse, avrebbe più di uno spunto per presentare ricorsi.

Fin qui il Codice. Restano comunque i princìpi affermati ora dal Consiglio di Stato sotto il profilo della sempre contestatissima legge 21/1992 che regolamenta il trasporto non di linea di persone. Dove il Tar Lazio aveva citato alcune sentenze della Corte Ue per disapplicare l’obbligo di autorizzazione comunale ritenendolo una sproporzionata restrizione alla libertà di stabilimento garantita dall’articolo 49 del Tfue (Trattato di funzionamento dell’Unione), il Consiglio di Stato cita la sentenza del 13 febbraio sulle cause riunite C419/12 e C420/12 in cui la Corte Ue ha sottolineato che l’articolo 49 non è applicabile a materie come i trasporti. Questi ultimi sono anche esclusi dalla direttiva Bolkestein (la 2006/123) sulla libera prestazione di servizi: lo prevede l’articolo 2 della norma.

Non solo. Il Consiglio di Stato ricorda la sentenza 56 della Corte costituzionale, secondo cui la legge 21/1992 non pone una «discriminatoria restrizione della concorrenza» ma un «limite intrinseco alla stessa natura del servizio», perché richiede gli stessi requisiti non soggettivi ma oggettivi (organizzativi e funzionali per garantire il servizio) sia ai cittadini italiani sia a quelli esteri. A chi obietta che tale limite finisce per impedire l’ingresso a nuovi concorrenti, i giudici rispondono che con le modifiche del 2018 la legge ha acquisito elementi di flessibilità come l’organizzazione del servizio su base provinciale e non solo comunale e, se si continuano a non rilasciare licenze, è perché tali modifiche prevedono una moratoria e nessuno sta presentando domande.

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