Il dominus paga il collega domiciliatario se il cliente non vi adempie
Sospeso il legale che dopo aver seguito entrambi i coniugi nella separazione assiste il marito contro la moglie. Con due decisioni depositate oggi (nn. 4850 e 4844), le Sezioni unite chiariscono alcuni aspetti del Nuovo codice deontologico
L’avvocato deve compensare il collega domiciliatario se non vi adempie il cliente a pena della sanzione della censura. Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza n. 4850 depositata oggi. Sempre in data odierna, ordinanza n. 4844, la Suprema corte ha confermato la sospensione per un anno di un avvocato che dopo aver assistito entrambi i coniugi nella separazione aveva poi preso le difese dell’ex marito in un procedimento che coinvolgeva l’ex moglie.
In particolare, la prima questione (n. 4850/2025) partiva dalle segnalazioni al Consiglio dell’Ordine di Civitavecchia giunte da due avvocati, uno del foro di Brescia e l’altro di Firenze, che lamentavano l’omesso pagamento del compenso in quanto difensori domiciliatari. Nel primo caso, il legale aveva ricevuto un assegno bancario, tornato insoluto. Per le S.U. però l’azione disciplinare è da considerarsi prescritta per lo spirare del termine massimo di sette anni e mezzo.
Quanto al secondo legale, che lamentava di non aver ricevuto alcun compenso, la Cassazione ricorda che la previsione dell’articolo 43 del Nuovo codice deontologico forense recita: «1. L’avvocato che incarichi direttamente altro collega di esercitare le funzioni di rappresentanza o assistenza deve provvedere a compensarlo, ove non adempia il cliente. 2. La violazione del dovere di cui al precedente comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura».
In tal modo, prosegue la decisione, si valorizza “la violazione del rapporto di colleganza come concreta esplicazione della violazione del più vasto ambito della lealtà e correttezza professionale”. Dunque, prosegue, nella cornice degli obblighi deontologici di lealtà, correttezza e probità che improntano l’agire professionale e i valori caratterizzanti la professione, “pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante il professionista che, incaricato altro collega di esercitare le funzioni di rappresentanza o assistenza, non provveda a compensarlo ove non adempia il cliente”.
“Si tratta di illecito, a ben vedere – prosegue la Corte -, eventualmente permanente, perdurandone la commissione fino alla rimozione della situazione antigiuridica in atto”. Mentre agli effetti della prescrizione dell’azione disciplinare, la condotta s’intende cessata al momento della pronuncia disciplinare di primo grado dalla quale dunque inizia a decorrere il termine prescrizionale massimo (articolo 56, co. 3, legge n. 247 del 2012). Ragion per cui, conclude sul punto l’ordinanza, quand’anche – cosa che non è avvenuta - la posizione debitoria fosse stata eliminata dopo il 10 luglio 2020 (data della decisione disciplinare di primo grado), il termine di prescrizione dell’illecito non sarebbe ancora decorso.
Nel secondo caso (n. 4844/2025), il procedimento disciplinare è partito dall’esposto al Consiglio dell’Ordine di Rimini da parte di una donna che si doleva del fatto che l’avvocato ricorrente avesse assunto la difesa dell’ex coniuge “in procedimenti giudiziari aventi come controparte la stessa esponente, nonostante l’incolpato avesse in passato prestato la propria assistenza professionale in favore di entrambi i coniugi”.
La Cassazione per prima cosa ricorda che in sede di prima impugnazione il Cnf aveva ridotto di tre mesi la sanzione “in considerazione dello svolgimento dei fatti” e della “successiva rinuncia ai mandati”, nonché della assenza di precedenti. La Suprema corte ha poi rigettato il ricorso in considerazione del fatto che dalle risultanze istruttorie, il Cnf aveva tratto la prova dell’illecito previsto dai commi 2, 3 e 4 dell’articolo 68 codice deontologico (Assunzione di incarichi contro una parte già assistita). E cioè: l’assunzione di un nuovo incarico professionale contro una parte già assistita, avente oggetto non estraneo a quello espletato in precedenza (comma 2); l’utilizzazione di notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito (comma 3); l’assistenza prestata, da parte di avvocato che abbia assistito congiuntamente coniugi o conviventi in controversie di natura familiare, in favore di uno di essi in controversie successive tra i medesimi (comma 4).