Penale

Il falso in cartella dell'infermiere di clinica privata è aggravato dall'incarico di pubblico servizio

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di Paola Rossi

Le schede infermieristiche destinate a confluire nella cartella clinica sono atti pubblici. E per tale natura la loro falsificazione determina la commissione del reato di falso aggravato. Così la Cassazione con la sentenza n. 9393 di ieri ha confermato la condanna di due infermieri che avevano falsificato le schede di annotazione sui pazienti e avevano affermato di aver compiuto rilievi in realtà non effettuati. Per entrambi la Cassazione ha confermato la condanna per i reati previsti dagli articoli 476 e 479 del Codice penale (falsità materiale e ideologica compiuta da pubblico ufficiale in atto pubblico). La sicura natura pubblica della cartella clinica, perché finalizzata alla certificazione dello stato di salute delle persone, si estende alle proprie componenti che ben possono essere le cartelle infermieristiche e le schede di annotazione che vi confluiscono, anche se redatte all'interno di strutture private. Si tratta cioè di attività di rilevanza pubblica. Anche se gli infermieri di una clinica privata svolgono anche mansioni che non determinano l'assunzione del ruolo di incaricato di pubblico servizio

Rilievo pubblicistico dell'attività infermieristica - L'attività infermieristica, nel momento in cui è svolta a diretto contatto del malato, è sempre attività di rilevanza pubblica, in quanto assicura il diritto alla salute costituzionalmente garantito. E a nulla rileva che sia svolta in strutture private non convenzionate col sistema sanitario nazionale. Non sposta tale affermazione neanche il rilievo dell'esistenza di un rapporto di lavoro pienamente privatistico, in quanto se l'attività è di rilevanza pubblica chi la svolge se non è pubblico ufficiale risulta comunque incaricato di pubblico servizio. Da ciò discende il corollario per cui l'incaricato che commette un reato nello svolgimento delle sue funzioni viene perseguito per le fattispecie aggravate dall'essere l'autore un pubblico ufficiale.

Corte di cassazione – Sezione V – Sentenza 10 marzo 2020 n.9393

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