Il Made in Italy contro le condotte idonee ad ingenerare incertezza sulla provenienza italiana del prodotto
In tema di sanzioni amministrative, la disposizione di cui all'art. 4, comma 49-bis, della Legge del 24 dicembre 2003, n. 350 è rivolta non solo a tutelare il "Made in Italy", ma anche a promuovere un'adeguata informazione del consumatore sul prodotto da acquistare
In tema di sanzioni amministrative, la disposizione di cui all' art. 4, comma 49-bis, della Legge del 24 dicembre 2003, n. 350 è rivolta non solo a tutelare il "Made in Italy", ma anche a promuovere un'adeguata informazione del consumatore sul prodotto da acquistare, dovendo pertanto ritenersi illegittime tutte le condotte, non necessariamente ingannevoli, idonee ad ingenerare situazioni di incertezza circa la provenienza italiana dello stesso, a causa altresì di indicazioni insufficienti o imprecise sull'origine o provenienza estera: così l 'ordinanza n. 20226/2022 della Corte di Cassazione , Prima Sezione Civile, pubblicata lo scorso 23 giugno, in linea con un consolidato orientamento della giurisprudenza penale in materia (cfr. Cass. Pen. n. 54521/2016 ; Cass. Pen. n. 25030/2017 ; Cass. Pen. n. 1119/2020).
La vicenda riguarda un'azienda di calzature che è stata sanzionata per aver esposto un marchio italiano su un prodotto recante, al suo interno, l'indicazione "Made in China".
Secondo i Giudici di legittimità, l'apposizione di un marchio, registrato, con nome e cognome italiani sulla confezione di un prodotto, in assenza di una chiara, diversa, indicazione di origine o provenienza, integra l'ipotesi di fallace indicazione di origine e provenienza, trattandosi di condotta idonea a trarre in inganno il consumatore riguardo l'esatta origine geografica del prodotto.
La presenza della dicitura "Made in China" all'interno della tomaia, non essendo immediatamente visibile, è stata quindi ritenuta non idonea ad esteriorizzare, in modo univoco, che le calzature fossero di importazione cinese, tenuto conto anche dell'utilizzo del predetto marchio in un settore merceologico nel quale l'Italia gode di una fama internazionale indiscutibile, con conseguente indebito vantaggio e inganno dei consumatori.
La Cassazione ha in questo senso annullato la sentenza n. 2173/2016 emessa dalla Corte d'Appello di Firenze, nella quale era stato rilevato che marchio e origine del prodotto sono due concetti distinti e completamente indipendenti tra loro, sicché ogni impresa sarebbe "libera di utilizzare il marchio che preferisce per distinguere i propri prodotti", con l'unico limite di non creare confusione con i segni altrui.
Con questa decisione la Suprema Corte fornisce dunque un'utile chiave di lettura per individuare gli estremi che integrano l'illecito amministrativo punito, tramite una sanzione da 10.000,00 a 250.000,00 Euro, dall'art. 4, comma 49-bis, della Legge n. 350/2003.
In particolare, ai sensi della succitata disposizione, costituisce fallace indicazione l'uso di un marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana, senza essere accompagnato da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto.
* Barbara Klaus, Avvocato, Partner, Rödl & Partner e Isabella Corrias, Avvocato, Associate, Rödl & Partner