Civile

Il pagamento di debiti tributari da parte del fallito inopponibile al curatore

La sentenza 16958 della Cassazione afferma l’obbligo di restituzione da parte dell'Erario anche in caso di compensazione

di Antonio Iorio

Sono inefficaci i pagamenti dei debiti tributari, anche con compensazione, eseguiti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento. A nulla rileva che siano stati eseguiti a seguito di procedure di riscossione coattiva e i crediti siano precedentemente maturati e riguardino ritenute Irpef dei dipendenti operate prima del fallimento. L’amministrazione dei rapporti fiscali, contributivi e di lavoro, creditori e debitori è, infatti, concentrata in capo al curatore senza alcuna esclusione o distinguo. A fornire questo interessante principio è la Corte di cassazione con la sentenza 16958/2021, depositata il 16 giugno.

Una società fallita vantava un credito Iva maturato prima della dichiarazione di fallimento, che il curatore utilizzava per il pagamento delle imposte. Successivamente veniva notificato alla società una cartella di pagamento (ex articolo 54 bis del Dpr 633/72) in quanto parte del credito risultava già utilizzato in compensazione dal fallito (dopo la dichiarazione di fallimento e all’insaputa del curatore) per il pagamento delle ritenute Irpef ai dipendenti.

Mentre la Ctp accoglieva il ricorso del fallimento, secondo cui il pagamento mediante compensazione del fallito doveva ritenersi inefficace ai sensi dell’articolo 44 della legge fallimentare, la Ctr confermava la legittimità della cartella.

In particolare, secondo i giudici di appello la norma in questione non rilevava perché, nella specie, si trattava di somme trattenute dal datore di lavoro (poi fallito) a titolo di acconto Irpef sulla retribuzione corrisposta ai dipendenti prima del fallimento stesso e successivamente versate all’erario.

La Corte di cassazione ha ribaltato la decisione, accogliendo il ricorso del curatore.

Secondo i giudici di legittimità, in estrema sintesi, gli atti e i pagamenti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento, avendo perso la legittimazione, sono inefficaci rispetto ai creditori ai sensi del predetto articolo 44 della legge fallimentare.

Ciò perché lo spossessamento rende il patrimonio del fallito insuscettibile di variazioni successive alla data del fallimento idonee a inficiare il soddisfacimento dei creditori.

Tale inefficacia si estende anche ai pagamenti dei debiti di imposta o contributivi operati dal fallito in favore dell’erario dopo il fallimento, con obbligo per l’erario di restituzione della somma incamerata e/o di insinuazione al passivo del corrispondente credito. Irrilevante, peraltro, che si tratti di ritenute Irpef sulle retribuzioni dei dipendenti in quanto somme rientranti comunque nello spossessamento.

In conclusione, il potere di amministrazione dei rapporti debitori, di quelli fiscali e contributivi e di lavoro resta concentrata in capo al curatore senza alcuna esclusione o distinguo.

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