Famiglia

Il papà rinuncia al testamento della moglie a favore della figlia, sì all'azione di riduzione del ‘fratellastro'

Lo ha chiarito la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 23036 depositata oggi con riguardo al caso di un padre

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di Francesco Machina Grifeo

Se il papà rinuncia all'eredità della moglie che ha nominato la figlia erede universale, l'altro figlio, nato da un diverso legame, può chiedere l'azione di riduzione considerando tale rinuncia come una donazione indiretta verso la figlia. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la ordinanza n. 23036 depositata oggi, accogliendo, con rinvio, il ricorso del figlio maschio.

La II Sezione civile ha infatti affermato il seguente principio di diritto: "La rinuncia del coniuge all'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima può comportare un arricchimento nel patrimonio della figlia beneficiata, nominata erede universale, tale da integrare gli estremi di una donazione indiretta, se corra un nesso di causalità diretta tra donazione e arricchimento".

Secondo il ricorrente, la Corte di appello di Catania ha errato nel disconoscere il valore di donazione indiretta, soggetta alla riduzione per integrare la quota del legittimario, alla espressa rinuncia del de cuius, legittimario pretermesso, alla richiesta di riduzione delle disposizioni testamentarie della propria moglie in favore della figlia nominata erede universale della propria madre.

Il de cuius dunque non aveva esercitato un diritto potestativo liberamente disponibile, che ha per effetto quello di verificare l'effettiva lesione della quota di legittima e, quindi, in caso di mancato esercizio, di rendere definitive le attribuzioni patrimoniali compiute dal de cuius. Secondo la Corte di appello, invece, l'effetto diretto della rinuncia all'azione di riduzione "è stato esclusivamente quello di precludersi la possibilità di impugnare il testamento del proprio coniuge, non anche quello di incidere sulla consistenza del proprio patrimonio disponendone in favore della figlia". Per la Corte territoriale, infatti, doveva escludersi che il de cuius abbia potuto donare alla figlia "beni dei quali non è mai stato proprietario".

L'assunto, spiega la Corte, non è corretto, per il fatto che il giudice a quo ha usato come modello la donazione "diretta" e i suoi elementi costitutivi. Per la configurazione di una donazione indiretta, con la quale si perviene al medesimo effetto di una donazione formale ma, per l'appunto, "indirettamente", spiega la Suprema corte, "l'impoverimento non può essere inteso come trasferimento di un bene già facente parte del patrimonio del de cuius dalla sua sfera patrimoniale a quella della di lui figlia, ma va considerato quale mancato consapevole esercizio - sorretto da intento liberale - della possibilità di arricchire il proprio patrimonio, in favore della parte che da tale azione ne sarebbe risultata impoverita".

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