Penale

Il privato cittadino non può sporgere denuncia via posta elettronica certificata

Breve nota al provvedimento di archiviazione emesso dal GIP presso il Tribunale di Perugia (depositato in cancelleria il 13.11.2020)

di Matilde Bellingeri*


Breve nota al provvedimento di archiviazione emesso dal GIP presso il Tribunale di Perugia (depositato in cancelleria il 13.11.2020)

La questione, di spiccato interesse se si considera l'attuale contingenza pandemica, impone di stabilire se un'email (ordinaria o PEC) contenente l'enunciazione di un possibile fatto di reato, a prescindere dalla sua fondatezza nel merito, possa essere qualificata come una vera e propria denuncia.

Nel caso di specie un cittadino portava all'attenzione della Procura della Repubblica tramite PEC la commissione di una pluralità di illeciti commessi nel settore della sanità pubblica.

A fronte della prospettata situazione, il Pubblico Ministero avanzava richiesta di archiviazione al GIP sostenendo l'impossibilità, per il privato cittadino, di presentare una denuncia a mezzo raccomandata o, addirittura, tramite posta elettronica, sia pur certificata, in assenza di una specifica previsione normativa.

L'art. 333 comma 2 c.p.p. stabilisce precise modalità attraverso cui un atto può trasformarsi in denuncia: deve essere presentato personalmente o a mezzo di procuratore speciale, al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria e, se già redatto per iscritto, deve essere formalmente sottoscritto.

La ratio è ben evidente: il denunciante deve essere identificato con certezza da persona qualificata.

L'interpretazione del P.M., oltre ad apparire conforme rispetto al dato letterale della norma, trova conferma in una circolare del Ministero della Giustizia (dipartimento per gli affari di giustizia - Direzione generale della Giustizia penale del 12.11.2016, prot. 328.E.) ove, al paragrafo 3, precisa che "quanto detto conduce ad escludere la configurabilità, a fronte di denunce inviate a mezzo di posta elettronica, anche certificata, di un obbligo di valutazione ai fini dell'iscrizione di notizie di reato a carico dell'Ufficio di Procura ricevente".

Come qualificare, quindi, gli scritti che pur avendo contenuto di denuncia sono trasmessi irritualmente?

Il P.M. ha ritenuto di annoverare tali scritti al novero delle denunce anonime.

Alla medesima conclusione sono giunte anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (S.U. n. 25932/2008, dep. 26.6.2008): "una denuncia irrituale, che si debba perciò considerare alla stregua di una denuncia anonima, pur essendo uno scritto di per sé inutilizzabile, è tuttavia idonea a stimolare l'attività del P.M. o della polizia giudiziaria al fine dell'assunzione di dati conoscitivi atti a verificare se da essa possano ricavarsi indicazioni utili per l'enucleazione di una "notizia criminis" suscettibile di essere approfondita con gli strumenti legali".

Le considerazioni del Pubblico Ministero sono state condivise dal Giudice per le indagini preliminari il quale, in ragione dell'impossibilità della verifica dell'identità del denunciante, conclude "per la non riconducibilità di tali scritti alle denunce di cui all'art. 333 c.p.p.".

L'occasione è propizia per un'ulteriore riflessione: l'esclusione della possibilità di trasmettere una denuncia tramite email (o PEC con firma digitale SPID) trova giustificazione nell'impossibilità di verificare con certezza l'identità dell'autore dello scritto, ovvero nel fatto che si tratti di modalità di trasmissione non tipizzata dalla legge?

Due, le soluzioni percorribili.

Da un lato, la tesi della tassatività degli strumenti di ricezione della notizia di reato, sostenuta nella richiesta di archiviazione, porterebbe ad escludere tale possibilità in quanto si tratterebbe di modalità non espressamente prevista dalla legge.

Da altro lato, una tesi meno rigorosa sembrerebbe intendere il catalogo dei mezzi indicati nell'art. 333 comma 2 c.p.p. come un elenco aperto, in considerazione della possibilità di proporre una denuncia per iscritto senza ulteriori specificazioni.

La fattispecie normativa, così come elaborata, sembrerebbe dunque lasciare spazio alla forma postale (sebbene non espressamente prevista) in quanto strumento idoneo a stabilire con certezza la paternità dello scritto. A sostegno di questo ragionamento, anche la disposizione di cui all'art. 337 comma 1 c.p.p., la quale ammette la possibilità di spedire per posta in piego raccomandato la querela con sottoscrizione autenticata.

In accoglimento di quest'ultima tesi, non sembra ragionevole escludere (almeno in prospettiva futura) la possibilità di utilizzare la PEC con firma digitale per la trasmissione di denunce.

La vicenda rimane di complessa definizione, il tema meriterebbe un adeguato approfondimento da parte del legislatore se si considera come nemmeno il processo penale possa più essere "impermeabile" alla rivoluzione tecnologica in atto.

* a cura di Matilde Bellingeri, abilitata alla professione forense

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