Penale

Il telefonino sequestrato dopo la copia forense va restituito

Per la Cassazione occorre rispettare il principio di proporzionalità anche in senso temporale. E dopo la creazione della copia forense il sequestro del cellulare e della scheda non è più giustificato

di Marina Crisafi

Una volta che le indagini tecniche sono state espletate con la creazione della copia forense, lo smartphone sequestrato va restituito al legittimo proprietario insieme alla relativa scheda. Ciò in quanto sono venute meno esigenze di indagine tali da giustificare l'ulteriore mantenimento in sequestro del bene. È quanto ha affermato la sesta sezione penale della Cassazione (sentenza n. 44010/2022) accogliendo il ricorso presentato nell'interesse di un minorenne cui era stato sequestrato cellulare e scheda telefonica.

La vicenda
Nella vicenda, il Gip del tribunale per i minorenni di Reggio Calabria respingeva l'opposizione presentata nell'interesse del ragazzo avverso il decreto di rigetto emesso dal pm della richiesta di restituzione all'avente diritto di cellulare e relativa scheda sottoposti a sequestro.
Tramite il legale, l'avente diritto presentava ricorso lamentando che il Gip aveva respinto l'opposizione con motivazione apparente senza spiegare perché il mantenimento del sequestro fosse coerente con esigenze di pertinenza e proporzionalità e con ulteriori esigenze probatorie a fronte del fatto che dopo il sequestro era stata effettuata l'analisi demandata al consulente tecnico che aveva depositato la sua relazione, con i report di tutti i dati estratti. Erroneamente, inoltre, a dire della difesa, il Gip aveva fatto riferimento ad accertamento tecnico non irripetibile.

La decisione
Per gli Ermellini, il ricorso è fondato. Le esigenze di indagine che dovrebbero suffragare la persistenza del vincolo, per possibili sviluppi in ordine alle attività di analisi dei dati estrapolati dal telefonino, nel quadro dell'accertamento tecnico disposto ai sensi dell'articolo 359 c.p.p., premettono i giudici, non sono state puntualmente indicate dal Gip. Senza contare che, come sottolinea il ricorrente, l'accertamento da parte del Ct era di tipo irripetibile e lo stesso aveva già depositato il suo elaborato, con copia forense del contenuto del cellulare.
Per contro, evidenzia quindi il Palazzaccio, "nel caso di sequestro di un apparato informatico complesso, quale quello costituito da un telefono cellulare e dalla relativa memoria, deve aversi riguardo, in vista di un adeguato contemperamento delle opposte esigenze, sia alla possibilità di verificare il contenuto a fini di indagini, secondo precise direttrici, sia alla necessità di rispettare il principio di proporzionalità, da intendersi non solo in senso quantitativo, in relazione alla messe di dati, ma anche in senso temporale".
Alla luce di tali premesse, proseguono dalla S.C., "deve valutarsi la possibilità di sottoporre il cellulare ad una rapida duplicazione del contenuto, mediante la creazione di una copia forense, costituente lo strumento per lo svolgimento di ulteriori verifiche, a fronte delle quali, tuttavia, l'esigenza della materiale disponibilità del bene sfuma in assenza di specifici elementi di segno contrario".
Nella specie, in base alle prospettazioni difensive, suffragate dalla documentazione allegata al ricorso, "l'espletamento delle indagini tecniche con creazione di una copia forense costituisce elemento idoneo a far venir meno esigenze di indagine tali da giustificare l'ulteriore mantenimento in sequestro del cellulare e della relativa scheda, in assenza della specifica indicazione di esigenze di segno diverso".
Su queste basi, la Cassazione ha accolto quindi il ricorso annullando senza rinvio l'ordinanza impugnata e ordinando il dissequestro e la restituzione di scheda e telefonino all'avente diritto.

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