Famiglia

Immaturità e mancanza di un serio tentativo di recupero della idoneità genitoriale, confermato lo stato di adottabilità

È quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 33148 del 10/11/2022, il solo affetto della madre non è condizione sufficiente ad escludere lo stato di adottabilità allorché venga accertata la mancanza di un'autonomia genitoriale

immagine non disponibile

di Giancarlo Cerrelli*

L'incostanza, l'immaturità della madre e la sua incapacità di reggere, per un periodo sufficientemente lungo, l'osservanza di un serio tentativo di recupero della propria idoneità genitoriale sono sufficienti a confermare il provvedimento di adozione della figlia stabilito dalla Corte territoriale.

È quanto ha deciso la Corte di Cassazione con una recentissima ordinanza ( Cass. civ., del 10/11/2022, n. 33148 ) che ha preso spunto dal ricorso di una madre contro la sentenza della Corte d'Appello di Torino, che a sua volta aveva confermato quella assunta dal Tribunale per i Minorenni del Piemonte e della Valle d'Aosta, che aveva dichiarato lo stato di adottabilità della figlia minore di cinque anni di età.

La Suprema Corte, nell'ordinanza, ha rigettato i quattro motivi con i quali la madre si era opposta allo stato di adottabilità della propria figlia, adducendo dapprima:

1) la violazione e la falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e art. 30 Cost., per avere la Corte territoriale confermato lo stato di adottabilità della minore in mancanza dei presupposti legali per ravvisare l'esistenza di uno stato di abbandono, in senso materiale e morale, non determinato da forza maggiore e non transitorio, violando il diritto della minore ad essere cresciuta ed educata nell'ambito della propria famiglia naturale, nonché dell'art. 30 Cost., che prevede il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli.

Ad avviso della ricorrente la storia familiare problematica di cui è portatrice non sarebbe di per sé sufficiente a fondare il giudizio di inidoneità nello svolgere il ruolo genitoriale.
A parere della Cassazione è, invece, evidente che non sussista " alcun favorevole segnale prognostico circa la possibilità di costruzione o di recupero delle competenze genitoriali [della ricorrente], la cui storia personale di deprivazione materiale ed affettiva le ha impedito di accedere proficuamente ad un percorso terapeutico di sostegno alla genitorialità."

Alla Suprema Corte appaiono, peraltro, fragili e inconsistenti le eccezioni della ricorrente quando eccepisce di essere stata vittima di un pregiudizio; la Cassazione, a tal proposito, facendo riferimento a quanto già affermato dalla Corte territoriale, stigmatizza come la ricorrente non abbia mai, al contrario, posto rimedio alla propria incostanza, immaturità e a un serio e duraturo tentativo di recupero della propria idoneità genitoriale.
La Cassazione rincara, inoltre, la dose, imputando alla ricorrente un allontanamento dalla comunità ove era ospitata insieme alla figlia nel corso del quale le era stato manifestato sostegno e soccorso dai servizi sociali che, però lei aveva rifiutato; tale circostanza, a parere della Corte conferma, ancora una volta, i limiti dell'incapacità della madre di prendersi cura della minore.

2) Con il secondo motivo la ricorrente contesta l'omessa valutazione da parte della corte territoriale della "positiva evoluzione del percorso personale intrapreso dalla ricorrente rispetto alla capacità genitoriale e inoltre, contesta di non aver indagato in concreto in ordine alle conseguenze negative sulla relazione con la figlia derivanti dalla rescissione del vincolo madre figlia".

La Cassazione risponde alla ricorrente come le relazioni dei servizi sociali abbiano evidenziato la refrattarietà della ricorrente ai supporti sociali e psicologici dagli operatori puntualizzando che "nel caso in esame tutti i servizi coinvolti hanno profuso ogni risorsa ed ogni energia nel tentativo di recuperare le capacità genitoriali senza alcun successo; occorre quindi considerare esclusivamente l'interesse prioritario della minore che ha già operato un totale disinvestimento della relazione con la madre avendo trovato altre diverse figure di riferimento".

A tal proposito, la Suprema Corte, a conferma della sua posizione, fa riferimento ai suoi princìpi giurisprudenziali sull'argomento, che affermano che:

a) il solo affetto della madre non è condizione sufficiente ad escludere lo stato di adottabilità allorché venga accertata la mancanza di un'autonomia genitoriale necessaria a prendersi cura dei bambini in modo da garantire loro adeguata assistenza (cfr. Cass. 1837/2011 );
ma anche, che:

b) in tema di adottabilità del minore, occorre contemperare il principio secondo cui il minore ha diritto di rimanere nella propria famiglia di origine , con conseguente ricorso allo stato di adottabilità come soluzione estrema, quando ogni altro rimedio appare ormai inadeguato, con l'esigenza dell'acquisto o di un recupero della capacità genitoriale in tempi compatibili con l'esigenza del minore di uno stabile contesto familiare (cfr. Cass. 881/2015 ); e ancora che:

c) il diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine, considerata l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato dall'art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184. Ne consegue che il giudice di merito deve, prioritariamente, verificare se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare, e, solo ove risulti impossibile, quand'anche in base ad un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono (cfr. Cass. 6137/2015 ).

3) Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, art. 10) la ricorrente ha, ancora, censurato la sentenza della corte di merito per non avere accolto le sue istanze istruttorie e, segnatamente, "per non aver disposto ctu sulle capacità genitoriali attuali della ricorrente e la relazione madre-figlia, per non aver disposto l'acquisizione di documenti richiesti e per non avere disposto l'audizione degli operatori sociali e della psicologa ".

A tale eccezione la Corte risponde che nonostante la ricorrente sia affetta da disturbo borderline, "la decisione assunta dalla corte di merito non si fonda sulla patologia psichiatrica della ricorrente, ma sulla rilevata incapacità genitoriale pur a fronte dei numerosi sostegni offertile in vista di un possibile recupero compatibile con le esigenze morali e materiali necessarie alla sana crescita della figlia minore".

4) Con il quarto motivo (violazione della L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. d)) la ricorrente ha, infine, censurato la sentenza impugnata per la mancata valutazione della possibilità di applicare i principi di diritto in materia di adozione cd. mite.

La Cassazione rigetta anche tale motivo affermando in modo perentorio che «va escluso l'interesse della bambina a un legame con la madre biologica»; che "il percorso degli incontri in luogo neutro è stato protratto sin troppo a lungo e non ha portato ad un miglioramento delle capacità genitoriali, né ad un approfondimento del legame. La ripresa dei contratti con la genitrice attiverebbe, infatti, sentimenti di precarietà e di provvisorietà, pregiudizievoli alla creazione di un sano e rassicurante legame di appartenenza alle figure genitoriali adottive, che impedirebbero anche il superamento delle difficoltà già affrontate per i trasferimenti di collocazione e per il mutamento delle figure di accudimento".
_____
*A cura del Prof. Avv. Giancarlo Cerrelli

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©