Civile

Immigrazione: no al respingimento se l’informativa nell’hotspot non è completa

Per la Cassazione, sentenza n. 32070/2023, tutti devono ricevere informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri e sulla possibilità di rimpatrio volontario assistito

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di Francesco Machina Grifeo

Più garanzie per i migranti portati negli hotspot per “esigenze di soccorso e di prima assistenza” a seguito di operazioni di salvataggio in mare. Dovranno ricevere una informativa completa su: protezione internazionale, ricollocazione in altri Stati membri e rimpatrio volontario assistito. Non basterà più dunque indicare “genericamente” che il soggetto è stato “compiutamente informato”, se, manca l’evidenza dell’informativa nel “foglio notizie” o in altri atti dell’amministrazione. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 32070 depositata oggi , accogliendo senza rinvio il ricorso di un cittadino tunisino contro il decreto del Gdp di Torino che, nel settembre del 2022, aveva convalidato il provvedimento di trattenimento presso il Cpr (del 31 agosto precedente) emesso dal Questore di Agrigento. E fornendo una interpretazione rigorosa del decreto Minniti del 2017.

Il ricorrente ha affermato di avere firmato subito dopo lo sbarco a Lampedusa un “foglio notizie” e di essere stato condotto, con altri 21 tunisini sbarcati con lui, presso la Questura dove ha firmato un secondo foglio notizie e ricevuto il decreto di respingimento. Nel decreto si dice che egli non ha chiesto la protezione internazionale “essendo stato compiutamente informato al momento della pre-identificazione”. Per il Gdp è tutto regolare in quanto “dal foglio notizie allegato in atti risulta che lo straniero è venuto in Italia per trovare lavoro e non richiede protezione internazionale”.

Una circostanza contestata dal ricorrente secondo il quale invece né il foglio notizie di pre-identificazione del 28 agosto 2022, né quello compilato il 31 agosto 2022 “attestano la somministrazione di alcuna informativa, orale o scritta”, né tantomeno agli atti è allegata la “Scheda informativa” per l’eventuale richiesta di protezione internazionale (art. 8, Direttiva 2013/32/UE). Infine, per tutti i migranti sbarcati con lui veniva utilizzata la medesima formula di stile.

La Corte richiama la “Agenda europea sulla migrazione” del 13 maggio 2015, in cui si elabora il cosiddetto approccio “hotspot” e cioè un metodo basato sui “punti di crisi” per indentificare rapidamente i migranti e, da un lato, avviare i richiedenti asilo verso le relative procedure, d’altro lato coordinare le operazioni di rimpatrio per chi non necessita di protezione. Ricorda poi che la Direttiva 2013/32/UE è recepita nel nostro ordinamento dal Dlgs 18 agosto 2015, n. 142 il quale dispone (art. 2) che per richiedente asilo debba intendersi non solo la persona che ha presentato la domanda di protezione internazionale ma anche la persona che ha manifestato la volontà di presentare questa domanda. E che il 28.9.2015 il Ministero dell’interno italiano ha adottato una Roadmap ove si legge che il primo passo (nelle aree hotspot) è la procedura di pre-identificazione che consiste nella compilazione di un foglio notizie nel quale, con l’ausilio di mediatori culturali, vengono annotate le generalità, la nazionalità e il motivo di ingresso in Italia del migrante.

Tale normativa richiamata (eurounitaria, nazionale primaria e secondaria), prosegue la Cassazione, sembra, dunque, giustificare la distinzione tra aventi diritto all’informativa e cioè coloro che manifestano il bisogno di protezione internazionale e coloro che invece con una esplicita dichiarazione escludono di avere bisogno della protezione e ai quali - di conseguenza - non dovrebbe essere data alcuna informativa, tale tesi (che è sostanzialmente quella del Giudice di pace) “non può però essere condivisa”, considerato lo “sviluppo della legislazione nazionale successivo al recepimento della Direttiva 32, e il consolidarsi della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo”.

Il decreto legge Minniti (13/2017, convertito, con modificazioni, dalla L. 47/2017) ha infatti “ampliato l’obbligo di informativa già previsto dalla Direttiva europea attuata con il Dlgs 142/2015, collocandone l’adempimento sin dal primo contatto con le forze di polizia di frontiera, con l’inserimento nel T.U.I. dell’art 10 ter”, invocato dalla difesa del ricorrente.

La norma, precisa la Corte, “mira a dare una base legale all’accoglienza nei centri denominati punti di crisi, posto che, come evidenziato anche dalla dottrina, appena il sistema hotspot è diventato concretamente operativo nel nostro Paese, sono immediatamente emerse numerose problematicità legate alla mancanza di una base legale, essendo affidata solo al contenuto di alcune circolari del Ministero dell’interno”. Criticità emerse anche nel Rapporto sui Cie del Senato (2017) che riguardo alla pre -identificazione col foglio notizie scriveva: “Non si tratta poi di un colloquio vero e proprio, ma della semplice compilazione di un questionario che risulta formulato in maniera estremamente stringata e poco comprensibile”.

Secondo il decreto Minniti dunque l’informativa non è riservata alle persone che manifestano il bisogno di protezione internazionale, ma deve essere “assicurata” a tutte i soggetti soccorsi in mare o rintracciati mentre attraversano illegalmente la frontiera e condotti negli hotspot: “è un’informativa a largo raggio, che riguarda non solo la procedura di protezione ma anche il programma di ricollocazione e la possibilità del rimpatrio volontario assistito ed è uno dei momenti essenziali delle operazioni di identificazione”.

Tutto ciò per evitare che “una frettolosa distinzione tra migranti economici e richiedenti asilo, operata attraverso formule stereotipate e che di per sé possono avere anche una molteplicità di significati, produca effetti irreversibili di fatto, precludendo l’accesso ad un ricorso effettivo”.

Mentre, prosegue la decisione, “può legittimamente dubitarsi che il Dlgs. 142/2015, limitando la somministrazione della informativa a coloro che hanno già presentato la domanda, avesse interamente attuato la Direttiva, perché ne restavano esclusi tutti i casi in cui, pur non essendo stata ancora presentata la domanda, vi fossero però delle “indicazioni” sulla volontà di presentarla”.

Né è dirimente la dichiarazione contenuta sul foglio notizie che riporta, come motivo del viaggio, la ricerca di lavoro. Ciò infatti non esclude che il soggetto abbia comunque necessità di protezione. Ma soprattutto l’obbligo di informativa prescinde dalla preventiva rilevazione della volontà di chiedere la protezione internazionale e rende sostanzialmente irrilevante un eventuale dichiarazione fatta “al buio” e cioè prima di essere adeguatamente informato sulle possibili alternative che assicura l’ordinamento in esito all’accertamento della identità del migrante e delle ragioni della migrazione.

Per queste ragioni la Prima Sezione Prima civile – in tema di impugnazione del provvedimento di convalida del trattenimento di uno straniero presso il CPI e affrontando una questione già oggetto di rinvio in pubblica udienza (“attesa la sua rilevanza nomofilattica e la possibile applicazione in un numero consistente di casi”) – ha affermato che, ai sensi dell’articolo 10-ter del Dlgs n. 286 del 1998, deve essere assicurata a tutti gli stranieri condotti per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso gli appositi punti di crisi (c.d. “hotspot”), una informativa completa ed effettiva sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito, trattandosi di un obbligo diretto ad assicurare la correttezza delle procedure di identificazione e a ridurne i margini di errore operativo.

La Suprema Corte ha precisato, altresì, che detto obbligo sussiste anche nel caso in cui lo straniero non abbia manifestato l’esigenza di chiedere la protezione internazionale, posto che il silenzio ovvero una eventuale dichiarazione incompatibile con la volontà di richiederla - che deve in ogni caso essere chiaramente espressa e non attraverso formule ambigue - non può assumere rilievo se non risulta che la persona è stata preventivamente compiutamente informata.

Con la decisione si è inoltre statuito che non è sufficiente, al fine di ritenere assolto l’obbligo di informativa di cui sopra, che nel decreto di respingimento o di trattenimento si indichi genericamente che il soggetto è stato compiutamente informato se, a fronte della contestazione dell’interessato, nulla emerge in ordine alla informativa, dal foglio notizie né da altri atti, documenti o mezzi di prova offerti dalla amministrazione; e segnatamente se non emergono i tempi e le modalità con cui l’informativa è stata somministrata, con specifico riguardo alla lingua utilizzata, alla presenza di un interprete o mediatore culturale e ciò al fine di consentire una verifica sulla comprensibilità delle informazioni fornite.

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