Imprese confiscate alla mafia, lo Stato evita l’arbitrato
Sull’azione di responsabilità promossa contro gli amministratori decide il giudice ordinario
La clausola compromissoria contenuta nello Statuto di una società, con la quale viene attribuita ad arbitri la soluzione di eventuali controversie tra soci e società, non è vincolante nei confronti dello Stato, che abbia acquistato una quota societaria a seguito di confisca per reati di stampo mafioso. Lo ha deciso la Cassazione (ordinanza 6068 del 4 marzo 2021), statuendo la competenza del giudice civile a decidere la causa di responsabilità promossa dallo Stato per mala gestio degli amministratori.
A tale conclusione la Corte giunge dopo aver ripercorso i tratti fondamentali della clausola compromissoria e della peculiarità dell’acquisto in capo allo Stato dei beni confiscati.
Nonostante il generale favore del legislatore per la soluzione arbitrale, la Corte ribadisce il principio per cui il fondamento dell’arbitrato è da rinvenire nella libera scelta delle parti, poiché solo queste possono disporre del diritto di difesa, derogando la normale competenza delle autorità giurisdizionali prevista dagli articoli 24 e 102 della Costituzione. Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ammette il giudizio arbitrale, purché frutto di una scelta «libera e consapevole» (Cedu 24 marzo 2016, Tabbane c. Svizzera). Ne consegue che la clausola compromissoria deve avere la forma scritta e, quando prevista nei contratti, essere sottoscritta esplicitamente, in base all’articolo 1341 Codice civile (clausole vessatorie).
La possibilità di inserire la clausola compromissoria nello statuto delle società è prevista dall’articolo 34 del decreto legislativo 5 del 2003 che estende l’efficacia soggettiva della clausola a tutti i soci e amministratori, il cui consenso si manifesta nella conclusione dell’atto costitutivo o nell’atto di acquisto della partecipazione sociale. Consenso che, invece, non esiste se lo Stato sia divenuto socio pubblico non in ragione di un ordinario intervento nell’economia, ma per obbligo di legge, nell’ambito delle misure di repressione della criminalità di stampo mafioso, previste dal Codice antimafia (decreto legislativo 159 del 2011).
In particolare, la normativa prevede, quale misura di prevenzione, il sequestro dei beni, comprese le partecipazioni societarie, con la successiva confisca, provvedimento ablativo dei beni del condannato, comprese le quote di partecipazione societaria, prevista anche in caso di condanna per associazione mafiosa. Con la confisca lo Stato acquista i beni a titolo originario e provvede a gestirli tramite l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc).
Il subentro dello Stato nella partecipazione societaria - in quanto, scrive la Cassazione, «socio forzato», che diviene titolare del capitale per legge e non per ricavare degli utili, ma per finalità di natura pubblicistica di contrasto alla criminalità organizzata - esclude l’adesione volontaria alla clausola arbitrale. Con conseguente cognizione della causa da parte del giudice ordinario competente.
La Cassazione rimarca, così, il ruolo “esterno” dello Stato che subentra in una società confiscata, non come «imprenditore», ma solo per «evitare la disgregazione del patrimonio aziendale, per il tempo necessario a che si realizzi una delle destinazioni prefissate dal legislatore».