Immobili

In condominio l’accollo della spesa va recepito dall’agenzia delle Entrate

La nuova norma non vieta che a chiedere l’accollosia anche chi vuole detrarre

di Andrea Cartosio, Saverio Fossati

Cessione del credito condominiale, la soluzione dell’accollo della spesa, studiata per evitare gli ostacoli che alcuni condòmini potrebbero frapporre alla delibera, ha forse bisogno di qualche ritocco.

Il primo è legato alle possibilità che l’ampia formulazione data dall’articolo 119, comma 9 bis del Dl 34/20202 come modificato dalla legge di Bilancio 2021 possa essere usata in modo strumentale.

Riepiloghiamo: la cessione del credito o lo sconto in fattura, se effettuati per tutto l’importo della spesa del superbonus, permettono una gestione decisamente più facile da parte dell’impresa che effettua i lavori o dalle banche che eroga il prestito-ponte. Tuttavia rimane un diritto dei condòmini beneficiare individualmente della detrazione: chi ha una buona liquidità può così pagare la sua quota in contanti al condominio e beneficiare del 2% annuo in più per cinque anni, di fatto una redditività che pochi strumenti finanziari garantiscono.

Limiti all’accollo

Ma, come recita il comma 9 bis, alcuni condòmini possono decidere di accollarsi tutta la spesa, purché la scelta venga approvata in assemblea (con una maggioranza che rappresenti quella dei presenti in assemblea e almeno un terzo dei millesimi totali) e gli interessati votino a favore. Scopo della norma è, evidentemente, quello di “tagliare fuori” i condòmini che vorrebbero scegliere la detrazione individuale: se non hanno spese non hanno neppure la detrazione.

L’agenzia delle Entrate, con due risposte agli interpelli 213 e 219 del 2019 (quindi prima della modifica della legge di Bilancio), è intervenuta richiamando uno dei cardini del sistema dei bonus edilizi in condominio: la circolare n. 57/E del 1998, del ministero delle finanze ha specificato che, in caso di spese intervenute sulle parti comuni condominiali, la detrazione per la riqualificazione del patrimonio edilizio deve essere calcolata in base alle quote millesimali di proprietà. Quindi, per le Entrate, a meno che una delibera votata all’unanimità dei condòmini (cosa quasi impossibile) autorizzi un diverso criterio di ripartizione millesimale, applicando questo criterio, il meccanismo del 110% non sarebbe applicabile alle parti di spesa “accollate” eccedenti quelle relative alle quote millesimali, facendo cadere il sistema.

Dato però che la possibilità dell’accollo è espressamente contenuta all’interno del meccanismo del 110% (l’articolo 119 del Dl 34/2020), sembra ovvio considerare che questa norma superi la vecchia circolare e i due interpelli, anche se un chiarimento dell’Agenzia sarebbe comunque auspicabile. Anche tenendo conto che una delibera che decida una diversa ripartizione della spesa è comunque possibile anche con la maggioranza speciale dell’articolo 1136, comma 2 (che rappresenti quella dei presenti in assemblea e almeno 500 millesimi), come ha detto la Cassazione nella sentenza 30392/2019.

La trappola del Codice

Un altro problema è quello rappresentato dalla possibilità, per i condòmini contrari alla cessione del credito, di sfruttare a loro volta la possibilità dell’accollo. Se cioè si dichiarano favorevoli ad accollarsi le spese in quote anche maggiori di quelle corrispondenti a quelle millesimali, non li si può poi certo obbligare a cedere il credito. Il comma 9 bis, infatti, nel secondo periodo, non vi fa cenno. Nel primo periodo (preesistente alla modifica della legge di Bilancio) si consente effettivamente una delibera di cessione del credito ma i forti dubbi sulla legittimità di questo “esproprio” della gestione della detrazione fiscale ai singoli avevano appunto consigliato al legislatore l’escamotage del secondo periodo.

Ma di fatto il successo della cessione globale del credito d’imposta, al netto dell’abilità diplomatica dell’amministratore del condominio, non è del tutto al riparo dalle smagliature della norma.

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