Lavoro

Inefficace il licenziamento per scarso rendimento se il codice disciplinare aziendale non è affisso in bacheca

La formalità dell'affissione garantisce il rispetto del principio di legalità delle infrazioni e di prevedibilità delle sanzioni

di Camilla Insardà

Con ordinanza dell'11 agosto 2022 n. 24722, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da una società a responsabilità limitata, avverso una sentenza della Corte d'Appello di Roma, con la quale il licenziamento disciplinare di un lavoratore era stato dichiarato inefficace per mancata affissione del codice disciplinare aziendale.
I giudici di merito avevano rilevato che il lavoratore aveva ricevuto altre contestazioni per non aver rispettato gli standard di produttività imposti dall'impresa. Tuttavia, questa avrebbe dovuto rendere nota la rilevanza disciplinare della regola tecnica violata, mediante l'esposizione del manuale in un luogo accessibile a tutti.
La mancata contestazione di tale circostanza in sede d'appello ha portato il Collegio di legittimità a dichiarare infondato l'unico motivo di impugnazione, inerente l'omessa valutazione di un fatto decisivo, con la conseguente conferma della pronuncia impugnata.
Prescindendo dagli aspetti processuali legati agli effetti devolutivi dell'impugnazione, la pronuncia in esame consente di riflettere sulla funzione pubblicitaria del codice disciplinare aziendale e sul principio di inescusabilità dell'ignoranza della legge in ambito giuslavoristico, effettuando un parallelismo con il processo penale, a cui il procedimento disciplinare è spesso assimilato.

Potere disciplinare del datore e obbligo informativo
Il potere disciplinare/sanzionatorio del datore di lavoro trova la propria legittimazione nell'articolo 7 della Legge 300/1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori). Non mancano i riferimenti normativi all'interno del Codice Civile, il cui articolo 2106 riconosce al datore di lavoro la facoltà di irrogare una sanzione, proporzionata all'infrazione, al lavoratore che non abbia osservato i generali obblighi di diligenza e fedeltà ex articoli 2104 e 2105.
La norma statutaria impone al datore di lavoro un dovere informativo, stabilendo che egli deve far conoscere ai propri dipendenti le infrazioni, i procedimenti di contestazione e le relative sanzioni disciplinari, "mediante affissione in luogo accessibile a tutti". Il codice disciplinare si può definire come la raccolta delle regole di condotta, predisposte unilateralmente dal datore di lavoro o convenzionalmente dalle organizzazioni sindacali ed imprenditoriali, che devono essere osservate dai prestatori d'opera sul luogo di lavoro e che, pertanto, devono dagli stessi essere preventivamente conosciute.
Il legittimo esercizio del potere sanzionatorio è correlato alla necessaria conoscibilità della normativa, la quale ultima è assicurata da un adempimento pubblicitario che grava esclusivamente sul datore di lavoro, onerato della suddetta affissione. Come più volte chiarito dalla giurisprudenza e dall'ordinanza n. 24722/2022, "tale formalità" garantisce il rispetto del principio di legalità delle infrazioni e di prevedibilità delle sanzioni, pertanto, "non ammette equipollenti".

Non ammessa l'ignoranza delle regole affisse
Una volta accertato il corretto adempimento da parte del datore di lavoro dell'obbligo ex articolo 7 dello Statuto, il lavoratore non potrà invocare a propria discolpa "la personale ignoranza delle norme disciplinari regolarmente affisse".
Tali affermazioni rimandano ai principi cardine che sorreggono il sistema penalistico, in primis, al principio di legalità consacrato negli articoli 25, comma II della Costituzione e 1 del Codice Penale, i quali riassumono il brocardo latino "nullum crimen, nulla poena sine lege", ovvero, nessun reato, nessuna sanzione senza una legge che li preveda.
Specularmente, l'articolo 5 c.p. sancisce il principio della inescusabilità dell'ignoranza della legge penale, cui l'Autorità Giudiziaria si è ispirata nell'affermare che la normativa disciplinare deve essere resa conoscibile dal datore di lavoro e conosciuta dal lavoratore.
Anche in ambito giuslavoristico trova applicazione l'assunto secondo cui "ignorantia legis non excusat", seppure con le dovute mitigazioni. In proposito, merita di essere citata la sentenza 33811/2021, richiamata altresì dall'ordinanza 24722/2022, secondo la quale il contenuto del codice disciplinare deve essere sufficientemente chiaro e schematico, "suscettibile di adattamento secondo le effettive e concrete inadempienze", senza dover rispettare i canoni di specificità ed analiticità propri delle disposizioni penalistiche.
Ciò rimanda alla nozione di "minimo etico", alla quale si sono spesso riferiti i giudici di merito e di legittimità, chiamati ad esprimersi sulla mancata pubblicazione del codice disciplinare aziendale. Tale concetto raccoglie tutti quei comportamenti che l'uomo medio percepisce immediatamente come illeciti e come tali vengono interpretati dal comune sentire. Per l'orientamento unanime, la violazione del minimo etico e delle norme penali, di cui il lavoratore può rendersi autonomamente conto, senza la necessaria predeterminazione di specifiche infrazioni e sanzioni, rende superfluo l'adempimento pubblicitario ex articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori e non delegittima l'esercizio di un'azione disciplinare da parte del datore di lavoro. Al contrario, la rilevanza disciplinare di una regola tecnica, legata alla produttività o all'organizzazione, deve essere messa in evidenza all'interno del codice aziendale, la cui previa pubblicizzazione deve essere dimostrata dall'imprenditore… in ogni sede di giudizio!

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