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Ingiunzioni Ue, sì ai termini interrotti per la pandemia

Gli atti interni che, però, spostano i termini processuali previsti dal regolamento Ue 1896/2006 che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento, modificato dal 2015/2421, in vigore dal 14 luglio 2017, devono rispettare il principio di equivalenza e di effettività

di Marina Castellaneta

I termini per l’opposizione a un’ingiunzione europea possono essere interrotti per decisione degli Stati membri che adottano misure procedurali specifiche a seguito della pandemia. Gli atti interni che, però, spostano i termini processuali previsti dal regolamento Ue 1896/2006 che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento, modificato dal 2015/2421, in vigore dal 14 luglio 2017, devono rispettare il principio di equivalenza e di effettività.

È la Corte di giustizia dell’Unione europea a stabilirlo nella causa C-18/21 (Uniqa) con la quale, per la prima volta, gli eurogiudici sono stati chiamati a pronunciarsi su margine di intervento degli Stati e interruzione dei termini fissati in un regolamento Ue in materia di cooperazione giudiziaria civile. La controversia nazionale riguardava una società di assicurazioni austriaca la quale aveva trasmesso a un proprio assicurato, di cittadinanza tedesca, un’ingiunzione di pagamento europea perché non aveva versato la rata dovuta. Il destinatario del provvedimento aveva presentato opposizione, ma il tribunale austriaco l’aveva respinta in quanto non era stato rispetto il termine di trenta giorni stabilito dall’articolo 16, paragrafo 2 del regolamento 1896/2006. Successivamente, in appello, l’ordinanza era stata annullata perché, secondo il Tribunale di secondo grado, la legge austriaca sul Covid-19 aveva previsto un differimento dei termini. La Corte di Cassazione, prima di decidere, si è rivolta agli eurogiudici per l’interpretazione del regolamento Ue che mira ad assicurare un recupero rapido ed efficace dei crediti transfrontalieri.

La procedura snella nello svolgimento del procedimento di ingiunzione europea prevede che il convenuto abbia il diritto di opporsi all’ingiunzione di pagamento europea dinanzi al giudice d’origine, utilizzando il modulo standard F, entro 30 giorni dal momento in cui riceve la notifica dell’ingiunzione. Diversi Stati membri, a causa della pandemia, hanno previsto la sospensione di alcune attività e dei termini processuali. Di qui la rivendicazione del debitore circa la possibilità di avvalersi di termini differenti anche in base all’articolo 20 del regolamento che prevede un riesame in casi eccezionali. È vero – osserva la Corte – che l’articolo 20 non si può applicare a circostanze eccezionali che hanno natura sistemica «come quelle connesse all'insorgenza della pandemia da Covid-19, che hanno inciso in modo generalizzato sul funzionamento e sull’amministrazione della giustizia» e che la norma deve essere interpretata restrittivamente per non privare il regolamento del suo obiettivo ossia assicurare un sistema rapido per ottenere che il creditore ottenga quanto gli è dovuto, ma il regolamento non prevede un’armonizzazione completa di tutti gli aspetti del procedimento di ingiunzione. Di conseguenza, poiché il regolamento non disciplina le cause di interruzione o di sospensione del termine di riesame o di opposizione, gli Stati membri, in una situazione come quella legata al Covid-19, possono disporre una sospensione dei termini. Nel rispetto, però, del principio di equivalenza e di effettività, con l’adozione, quindi, di norme processuali interne che non devono essere meno favorevoli rispetto a quelle che riguardino situazioni analoghe disciplinate dal diritto interno e non devono rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione. Se la legge prevede una sospensione per tutti i procedimenti, la misura è compatibile con il regolamento Ue.

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