Penale

Intercettazioni, i “paletti temporali” per l’utilizzabilità in procedimenti diversi

Le S.U. della Cassazione, sentenza n. 36764 depositata oggi, hanno chiarito che la disciplina dell’art. 270, co. 1, Cpp. opera ove il procedimento nel quale sono state fatte le intercettazioni è stato iscritto dopo il 31 agosto 2020. La Corte chiarisce anche il regime di pubblicità delle pronunce con riguardo all’oscuramento dei dati sensibili

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di Francesco Machina Grifeo

Arrivano i chiarimenti delle Sezioni unite sulla utilizzabilità delle intercettazioni in “procedimenti diversi” fissando un rigido spartiacque temporale fra nuova e vecchia disciplina. Con la sentenza n. 36764 depositata oggi, la Suprema corte afferma che non può essere condiviso l’orientamento secondo cui la norma transitoria - art. 9 legge 216 del 2017 (come modificata nel 2020 nella parte in cui fa riferimento «ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020») - dovrebbe essere interpretata nel senso di ritenere che, ai fini dell’applicazione del nuovo art. 270 cod. proc. pen., deve aversi riguardo alla data di iscrizione del procedimento “diverso”. I giudici chiariscono che è invece condivisibile l’orientamento secondo cui, in ragione della norma transitoria, il nuovo art. 270 cod. proc. pen. trova applicazione solo nel caso in cui il procedimento originario sia iscritto dopo il 31 agosto 2020.

Hanno così affermato il seguente principio di diritto: “La disciplina del regime di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi, di cui all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. - nel testo introdotto dal Dl 30 dicembre 2019, n. 161, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7 ed anteriore al decreto legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 8 ottobre 2023, n. 137 - opera ove il procedimento nel quale sono state compiute le intercettazioni sia stato iscritto successivamente al 31 agosto 2020”.

È stato dunque accolto il ricorso di tre avvocati contro l’ordinanza del Tribunale di Napoli che aveva disposto la misura interdittiva del divieto di esercitare la professione forense per la durata di un anno, in quanto “gravemente indiziati” del delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la fede pubblica e falso ideologico in atto pubblico. I ricorrenti si sarebbero associati al fine di presentare, sulla base di false procure, ricorsi per decreti ingiuntivi - per ottenere i contratti di attivazione delle utenze da parte di compagnie assicurative - in diversi uffici del Giudice di Pace, i quali, indotti in errore, avrebbero in numerosi casi emesso decreti ingiuntivi con distrazione delle spese a loro favore.

I “gravi indizi” sarebbero stati desunti dal contenuto di “numerose conversazioni telefoniche intercettate”, disposte ed eseguite nel corso di un altro procedimento penale poi acquisite e utilizzate ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen.

Per la Suprema corte, dunque, sono fondati i motivi di ricorso relativi alla inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto “le conversazioni utilizzate nel presente procedimento, iscritto - quanto al delitto associativo - il 28 marzo 2022, sono state disposte nel 2019 nell’ambito di un procedimento originario iscritto nel 2018”. Ragion per cui, taglia corto la decisione, “si tratta di conversazioni inutilizzabili”.

Le S.U. hanno invece respinto la richiesta di oscuramento dei dati sensibili. L’istanza, argomenta la Corte, è articolata sulla base dell’unico argomento secondo il quale la diffusione della decisione produrrebbe “un effetto pregiudizievole in ambito lavorativo, nella vita sociale e in ambito familiare”, tenuto conto, peraltro, della sommarietà della fase cautelare.

Per i giudici, però, si tratta di una motivazione “obiettivamente generica”. Il pregiudizio prospettato, in particolare, discenderebbe, dalla diffusione della notizia della “mera esistenza di un procedimento penale ancora nella fase delle indagini preliminari e di una prospettazione d’accusa ancora fluida, in divenire”. Ma se così fosse, prosegue la decisione, si vanificherebbe “l’esigenza di bilanciamento” col principio della “pubblicità della sentenza” dal momento che “la semplice esistenza di un procedimento penale dovrebbe sostanzialmente di per sé comportare “sempre” la deroga alla regola generale della diffusione del contenuto integrale di un provvedimento giudiziario”.

Mentre invece essa dipende da un “giudizio di relazione tra due poli” che il giudice è tenuto a compiere in concreto, di volta in volta, in ragione dei motivi per cui la vicenda riveste “particolare delicatezza” e, in particolare, di quelle per cui, se l’oscuramento non fosse disposto, si produrrebbero conseguenze negative “sui vari aspetti della vita sociale e di relazione dell’interessato, come ad esempio, in ambito familiare o lavorativo”. Un onere di specificazione del motivo, dunque, che giustifica l’oscuramento dei dati solo “in quanto prevalente rispetto alla regola generale della diffusione integrale del provvedimento”.

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