Penale

Interruzione di pubblico servizio per chi registra non autorizzato la seduta del Consiglio comunale

La Cassazione con la sentenza 28950 ha ricordato come l'autorizzazione vada richiesta a tutela della privacy

di Andrea Alberto Moramarco

Il cittadino che registra la seduta del Consiglio comunale senza aver ottenuto una previa autorizzazione e, nonostante l'invito del Sindaco ad interrompere le riprese, si rifiuti di spegnere il registratore commette il reato di interruzione di pubblico servizio. Questo è quanto affermato nella sentenza n. 28950 dalla Cassazione, per la quale non sussiste alcun diritto del privato a registrare l'attività consiliare in nome della trasparenza.

Il caso - La singolare vicenda da cui trae origine il procedimento penale si svolge a febbraio 2010 nell'aula del Consiglio comunale di un paese nel bergamasco. Un cittadino veniva scoperto a registrare tramite un apparecchio portatile la seduta consiliare, in assenza di autorizzazione e perciò contrariamente a quanto previsto nel regolamento comunale. A quel punto il Sindaco chiedeva al concittadino di interrompere la registrazione, in quanto non consentita, e, dinanzi al rifiuto di stoppare le riprese, si vedeva costretto a chiamare i Carabinieri che, interrompevano la seduta e invitavano l'uomo con la telecamera ad allontanarsi. Il tutto era durato circa un'ora e mezza.
Il comportamento dell'uomo passava poi al vaglio dei giudici penali che, sia in primo grado che in appello, lo ritenevano responsabile del reato di interruzione di pubblico servizio, previsto dall'articolo 340 del codice penale. Per i giudici il caso era semplice: si trattava di un comportamento non autorizzato e non necessario che causava la sospensione della seduta comunale. Il cittadino ricorreva però in Cassazione ritenendo che la registrazione da lui eseguita rispondeva ad esigenze personali, in quanto egli aveva la necessità di registrare le dichiarazioni dei consiglieri su specifiche questioni all'ordine del giorno. Inoltre, la prescritta autorizzazione, secondo l'imputato, riguardava non i singoli cittadini ma le emittenti televisive, le cui riprese erano finalizzate ad informare l'opinione pubblica.

L'autorizzazione richiesta a tutela della privacy - La Cassazione ritiene il ricorso non fondato e, anche se nel frattempo il reato commesso si è estinto per prescrizione, tiene a precisare i contorni giuridici della vicenda. In primo luogo, per i giudici di legittimità il regolamento comunale è chiaro laddove prevede una apposita autorizzazione per registrare le sedute del Consiglio comunale, indipendentemente dal mezzo utilizzato e dal soggetto che effettua le riprese. Tale statuizione è in linea con l'articolo 38 comma 3 del Tuel (Dlgs 267/2000), che attribuisce ai Comuni autonomia funzionale e organizzativa.
In secondo luogo, sottolinea ancora il Collegio, tale limitazione è altresì «in sintonia con le direttive date dal Garante per la protezione dei dati personali con nota del 23 aprile 2003 in ordine alla registrazione delle sedute dei consigli comunali per finalità non istituzionali», per la quale se le riprese sono destinate a scopi diversi dalla informazione, allora «gli interessati devono essere posti in condizione di essere informati». Pertanto, nel caso di specie, la previa autorizzazione alla registrazione, prevista dallo statuto comunale, si poneva come strumento di tutela per la diffusione incontrollata di dati personali e giustificava l'interruzione della seduta da parte del Sindaco, una volta scoperto l'uso non autorizzato di un registratore da parte dell'imputato.

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