Penale

Interruzione di pubblico servizio al padrone del pit bull senza museruola che blocca l’autobus

Fa scattare il reato la discussione col conducente che impedisce la ripartenza per il mancato rispetto dell’obbligo di far indossare la museruola all’animale e non rileva come attenuante la mancata affissione del regolamento

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di Paola Rossi

Scatta l’interruzione di pubblico servizio per chi non consente il normale svolgimento della prestazione di trasporto pubblico perché impedisce la partenza in orario dell’autobus su cui pretende di salire con un cane di grossa taglia non dotato della museruola disattendendo alla richiesta dello stesso autista. E la condotta del padrone del pit bull che si rifiuta di adempiere non è scriminata o attenuata dal fatto che la regola non fosse affissa all’interno del mezzo.

Per cui va in via generale affermato che la lunga discussione intrapresa con l’autista dell’autobus che cerchi di imporre il rispetto del regolamento di trasporto può determinare la contestazione del reato ex articolo 340 del Codice penale a carico dell’utente che pretendendo di non ottemperare alle prescrizioni imposte a tutti i viaggiatori, determini un sensibile ritardo della partenza del mezzo pubblico.

In particolare la Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 45289/2024 - ha rigettato il ricorso anche sulla pretesa difensiva che lamentava l’eccessività della pena per il mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione da cui era scaturita la reazione a un fatto ingiusto - anche solo putativo - in quanto il regolamento di viaggio non era esposto e pubblicato. Infatti, non vi era dubbio che il ricorrente avesse espressamente minacciato l’autista e gli altri passeggeri asserendo che nessuno sarebbe partito se non gli fosse stato concesso di viaggiare con il cane notoriamente di razza pericolosa e senza indossargli la museruola.

La Cassazione sul punto dell’attenuante della provocazione di cui ha confermato il non riconoscimento in questa vicenda, ha affermato che essa può sussistere quando l’agente che compie un dovere lo fa con carattere provocatorio cioè esercitandolo con dispetto o con animo fazioso tale da rendere meritevole di rilievo lo stato d’ira del soggetto attivo e l’ingiustizia del fatto determinante la reazione.

Ma tale ipotesi è da escludersi quando il preteso provocatore abbia preso una decisione che rientra nei suoi poteri di valutazione nonché nei suoi compiti di fare rispettare una prescrizione regolamentare.

Nel caso concreto sia i giudici di merito che di legittimità hanno escluso la natura provocatoria della condotta dell’autista del bus che, al contrario, aveva l’obbligo di rispettare e di far rispettare il regolamento di viaggio. Obbligo che, se in fatti non è rispettato, può far scattare la presunzione della responsabilità del vettore a norma dell’articolo 1681 del Codice civile.

In conclusione la Suprema Corte detta l’interpretazione della nozione di “fatto ingiusto altrui” - costitutivo dell’attenuante della provocazione - affermando che è necessario che esso rivesta carattere di ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche. E tra le regole giuridiche rientra sicuramente anche il “regolamento di viaggio”, che nella vicenda decisa non risulta violato. Anzi, da come accertato, il conducente ha sostenuto la diatriba col passeggero prepotente al fine proprio di adempiere al proprio obbligo di far rispettare il regolamento da parte di chiunque.
La Cassazione respinge perciò come infondato il rilievo difensivo secondo cui a causa dela mancata affissione del regolamento l’imputato fosse stato tratto in errore al punto di interpretare il rifiuto dell’autista come atto arbitrario e «irragionevole discriminazione contro l’animale». L’idea errata di aver agito in base a un’attenuante non ne determina il riconoscimento in sede di giudizio e di dosimetria della pena. Infatti le circostanze attenuanti del reato “erroneamente supposte” dall’autore non determinano un vantaggio a favore dell’autore. Ciò in aderenza a quanto previsto dalla specifica disposizione dell’articolo 59, comma 3, del Codice penale. Non sono quindi rilevanti le circostanze attenuanti “putative” a fronte della richiesta di aderire a un regolamento legittimamente applicabile. E lo stesso varrebbe persino a fronte di regole morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e che non sono appunto valutabili con riferimento alle convinzioni o alla sensibilità personale del trasgressore.

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