Responsabilità

Intervento estetico non riuscito, sì alla perdita di chance per la "ragazza immagine"

Lo ha deciso la Corte di cassazione, con la sentenza n. 25910 depositata oggi, accogliendo parzialmente (e con rinvio) il ricorso di una trentenne che si era sottoposta ad un intervento al seno

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di Francesco Machina Grifeo

L'intervento estetico al seno mal riuscito che ha prodotto anche il riconoscimento di una percentuale di invalidità dà diritto oltre al risarcimento per il danno biologico subito anche a quello per la perdita di chance collegata alla teorica possibilità che la ragazza aveva di intraprendere una carriera nel campo della moda. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 25910 depositata oggi, accogliendo parzialmente (e con rinvio) il ricorso di una trentenne che dopo l'intervento di "espansione mammaria", al quale si era sottoposta nel 2006, aveva dovuto a distanza di pochi giorni rimuovere le protesi che avevano generato prima una infiammazione poi una infezione.

La Corte di appello di Bologna aveva rigettato la richieste di un aumento del risarcimento nei confronti di una Azienda Ospedaliera Universitaria, confermando la quantificazione degli esiti permanenti "nel 22-23% anziché nella più elevata percentuale stimata dal consulente di parte" che aveva portato ad un risarcimento di circa 96 mila euro, ritenendo non provate le circostanze volte a giustificarne un aumento in via di personalizzazione. La Corte territoriale inoltre aveva rigettato anche il danno da perdita di chances lavorative, ritenendo non provato l'avvio alla carriera di modella o ragazza immagine.

La Terza sezione civile chiarisce che il soggetto che agisce per ottenere il risarcimento del danno da perdita di chance è tenuto ad allegare e provare l'esistenza dei suoi elementi costitutivi, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale, fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni, ed eventualmente ricorrendo anche ad un calcolo di probabilità.

In questo senso il danno da chance perduta consiste "non nella perdita di un vantaggio, economico e/o non economico, che sia certo ed attuale, ma nella perdita della concreta possibilità di conseguire un vantaggio sperato". Nel rigettare la domanda, pertanto, la corte d'appello, ha errato nel ritenere che la valutazione in termini di danno risarcibile della chance "debba essere compiuta col metro della certezza e non piuttosto con quello della possibilità qualificata secondo i canoni della apprezzabilità, serietà, consistenza - così confondendo, sovrapponendoli, il piano della causalità con quello dell'evento di danno - e, per altro verso, omette totalmente di considerare alcune evidenze documentali".

In particolare, avrebbe dovuto tener conto della limitazione della capacità lavorativa generica (col riconoscimento della invalidità civile nella misura del 67%) mentre con riguardo alle prospettive lavorative future valutare le le dichiarazioni provenienti dalla agenzia che aveva realizzato il book fotografico. Tali circostanze, dunque, erano "tutte da valutare nella loro idoneità a comprovare non un avviato percorso lavorativo in ordine al quale poter lamentare la perdita certa di una capacità reddituale già in atto, ma la perdita della possibilità di affermarsi nel campo che la ricorrente aveva prescelto all'epoca dei fatti, della cui riuscita non poteva essere certa al momento dell'intervento sanitario, ma rispetto al quale aveva della apprezzabili probabilità di conseguire un risultato diverso e migliore, che dopo l'accaduto le sono state del tutto precluse".

Inoltre, quanto al danno morale la corte d'appello con "scarna lapidarietà" ha escluso che un rilevante pregiudizio estetico e funzionale con deturpazione permanente del seno, in una giovane donna, potesse risultare elemento rilevante, in via presuntiva, ai fini dell'affermazione del danno morale, idoneo cioè a determinare una apprezzabile compromissione dell'equilibrio emotivo-affettivo del soggetto. E non ha neppure preso in considerazione "la sopraggiunta separazione personale della ricorrente né la sua produzione documentale, in particolare la relazione psicodiagnostica prodotta". Una valutazione che ora andrà fatta insieme alle altre sempre dalla Corte d'Appello di Bologna ma in diversa composizione.

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