Investire nel personale senza assumere magistrati sarebbe paradossale
Il piano straordinario di finanziamenti deciso dall’Unione europea Eu non contiene alcun riferimento alla giustizia penale
È verosimile che ad una riforma nata con la funzione di apportare correttivi al d.d.l. AC n. 2435, non potesse essere assegnato il compito di una riforma globale della giustizia penale. E', tuttavia, altrettanto evidente che come per il rinnovato sistema sanzionatorio, largamente ed organicamente ridisegnato tra aspetti di diritto penale sostanziale e profili processuali, anche il processo avrebbe richiesto e richiede, quindi (si è sempre in tempo per farli) aggiustamenti sistematici.
Sono state evidenziate opinioni diversificate in materia di impugnazioni e di appello, in particolare, sia con riferimento alla legittimazione sia in relazione alla sua natura. Al pari, proprio questa riforma nell'intelaiatura complessiva dell'intersecazione di profili premiali, estintivi, e a quelli connotati da una visione solidaristica, ha messo in luce, anche in attesa delle scelte in tema di prescrizione e di durata ragionevole del processo, riserve sotto il profilo della “filosofia” del nuovo modello processuale emergente dalla proposta complessiva.
In particolare, il modello proposto non può non tener conto di come potranno orientarsi i comportamenti dei protagonisti e dei comprimari della vicenda processuale.
Il discorso riguarda naturalmente la declinazione dei criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale, che si caleranno nelle diverse realtà della criminalità, nell'efficienza del sistema, nelle risorse a disposizione, da considerare anche nei più ampi sviluppi processuali: giudizio e impugnazioni.
Senza correttivi adeguati, lo squilibrio nei diversi distretti dei tempi di smaltimento del carico processuale, pur allegerito, resterà tale.
Bisognerà verificare come saranno valutati e gestiti dall'accusa e dai giudici i due nuovi filtri, dell'archiviazione e dell'udienza preliminare, per verificare quantitativamente la loro attitudine decongestionante, posto che bisogna allegerire il sistema di un 25%, nonché andranno verificate le vicissitudini della nuova udienza predibattimentale.
Bisognerà vedere se la riforma sarà accompagnata o meno da un provvedimento indulgenziale – a bassa intensità –, accompagnato o meno da sanzioni light o comportamenti seppur non onerosi.
Si tratta di aspetti sui quali si sta dibattendo e che troveranno risposta nella proposta che il Ministro si appresta a presentare alla Commissione giustizia e sulla quale verranno presentati gli emendamenti da parte dei deputati.
Nel corso delle audizioni era stata segnalata da più parti la necessità di intervenire in materia di misure cautelari reali, che non possono ritenersi estranee al tema delle libertà che non sono solo quella della dimensione stricto sensu personale.
Sul punto, forse mancando previsioni correlate sul cit. d.d.l. Bonafede, la Commissione non ha dato indicazioni che si spera potranno essere prospettate in sede parlamentare.
Quello che sarebbe stato necessario e sarà necessario è considerare le possibili ricadute in tema di misure cautelari, soprattutto in relazione alla misura inframuraria, per effetto delle mutate soglie della pena che consentono di definire il processo in modo più favorevole rispetto all'attuale.
Il dato, astrattamente presente nella previsione prognostica del principio di proporzionalità di cui al comma 3 dell'art. 275 c.p.p., non appare adeguato a questo fine.
Nei giorni scorsi è filtrata da ambienti ministeriali la notizia che il primo passo della riforma Cartabia della giustizia penale sarà l’assunzione di 16.500 addetti all’ufficio del processo. Ancora una volta si è ribadita la vulgata secondo cui la riduzione del 25% della durata dei processi penali sarebbe imposta dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, o Pnrr, e, ancor prima, dal Next Generation Eu.
Sul punto occorre fare chiarezza: il piano straordinario di finanziamenti deciso dall’Unione europea e denominato, appunto, Next Generation Eu non contiene alcun riferimento alla giustizia penale. I fondi sono stati stanziati per altre finalità, in particolare, come è logico in considerazione della contingenza pandemica, per un rafforzamento del comparto della sanità e per altre tematiche legate a salute e ambiente.
Dunque, non è vero che l’erogazione dei fondi del cosiddetto Recovery Fund sia condizionata alla riforma della giustizia. È vero, invece, che il governo italiano ha deciso autonomamente di inserire nel Pnrr la riforma complessiva della giustizia. Scelta forse condivisibile, ma certamente non imposta addirittura quale condizione per ottenere i fondi europei.
Ciò premesso, la prima mossa del ministro sembrerebbe quella di incidere sul piano organizzativo, in attesa che l’iter delle riforme normative possa percorrere il non certo facile iter parlamentare.
Finalmente si è compreso che la macchina del processo penale potrà anche essere il miglior modello normativo, cosa che peraltro non è, ma rischierà di non funzionare mai se nessuno ci metterà la benzina (o l’elettricità) per farla muovere. E il propellente del processo sono proprio le risorse umane destinate al sistema giustizia.
Se, dunque, la scelta di investire sull’organizzazione è altamente opportuna, assume quasi il sapore della beffa l’investimento di ingenti somme di denaro su personale avventizio destinato a popolare il rinnovato ufficio del processo.
Da circa trent’anni il numero dei magistrati ordinari è rimasto costantemente immutato, attestato su circa 9mila unità. Un fenomeno che meriterebbe adeguata analisi sociologica, magari da parte delle stesse Commissioni ministeriali, soprattutto in rapporto all’incremento costante delle notizie di reato, dei carichi pendenti e del numero degli avvocati. Ciò che rimane immutabile nel tempo è solo il numero chiuso, di fatto, dei magistrati ordinari che rappresentano una ristretta élite di pubblici dipendenti.
Anche in questa occasione le considerevoli risorse messe a disposizione dall’Europa non saranno investite in un reclutamento straordinario di magistrati di ruolo, scelta che avrebbe dato la certezza di un impiego lavorativo stabile a migliaia di neolaureati. Si è preferito, invece, continuare a percorrere la strada del precariato e del personale a tempo determinato.
Il problema non è solo quello “sociale” di non volere offrire ai migliori giovani laureati in giurisprudenza l’occasione di un’assunzione a tempo indeterminato nei ruoli della magistratura, ma è anche, se non soprattutto, una questione di politica giudiziaria. Anche l’attuale ministro non intende evidentemente superare il dogma del numero chiuso dei magistrati ordinari, pur sapendo perfettamente che il sistema giudiziario si regge sull’apporto determinante della magistratura onoraria, dei tirocinanti e degli stagisti e che il numero dei magistrati di ruolo non sarebbe in grado di reggere nemmeno un giorno di amministrazione della giustizia penale. Una situazione paradossale che l’ufficio del processo non farà altro che mantenere e amplificare.
Bisognerebbe poi interrogarsi sulla stessa legittimità di questa nuova struttura che inevitabilmente finirà per svolgere attività giudiziarie riservate dalla Costituzione ai magistrati. L’opinione pubblica è informata del fatto che le libertà fondamentali dei cittadini potrebbero dipendere da decisioni solo formalmente assunte da un giudice, ma concretamente predisposte da neolaureati precari assunti con contratto biennale?
Anche su questo punto sarebbe utile una comunicazione più trasparente che spieghi le funzioni di questo nuovo ufficio e i ruoli che effettivamente avranno i suoi componenti. Così come sarebbe opportuno che il governo spiegasse per quale ragione non ritiene possibile un reclutamento straordinario di magistrati di ruolo, preferendo investire le risorse europee su personale avventizio e non titolato a entrare in magistratura. Si sta perdendo un’occasione storica e irripetibile per aprire l’ordine giudiziario alla circolazione delle idee e delle persone, per dare un futuro stabile ai nostri migliori giovani, per sanare la posizione dei magistrati onorari che da oltre vent’anni sono supplenti di quelli ordinari, per garantire a tutti che la giustizia penale venga sempre amministrata da chi ha tutti i titoli e tutte le garanzie di indipendenza per farlo.
Senza più l’alibi del contenimento della spesa pubblica, sarebbe davvero un errore imperdonabile continuare a investire nei giudici senza toga.