Amministrativo

Irreperibilità del datore di lavoro, stretta sull’emersione degli extracomunitari

Il Tar Umbria, sentenza del14 giugno 2024, n. 47, ha bocciato il ricorso di un cittadino pakistano la cui domanda di regolarizzazione è stata respinta dopo che il legale rappresentate dell’azienda (una coop) si era reso irreperibile

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di Francesco Machina Grifeo

I criteri fissati dalle sanatorie (nel caso quella del 2012) non possono estendersi anche allo straniero, la cui domanda di emersione, presentata dal datore di lavoro, sia stata successivamente respinta per assenza di un reddito adeguato dopo che il legale rappresentante della azienda (una Coop) si è reso irreperibile. Lo ha stabilito il Tar Umbria, Sede di Perugia, sez. I, sentenza del14 giugno 2024, n. 471 (Pres. Ungari, Est. De Grazia) respingendo il ricorso di un extracomunitario che chiedeva comunque il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione.

Alla base della motivazione del Tribunale vi è la decisione della Corte costituzionale (n. 209 del 2023) secondo cui le procedure di regolarizzazione degli stranieri, oltre ad avere natura eccezionale, hanno ciascuna una propria specificità quanto a finalità e presupposti.

La vicenda all’esame del Tar

Una società aveva presentato, nell’interesse di un proprio dipendente, cittadino pakistano, un’istanza di emersione dal lavoro irregolare (ai sensi dell’art. 103 del d.l. n. 34 del 2020). Successivamente, il rapporto di lavoro era stato interrotto per irreperibilità del datore di lavoro. Il legale rappresentante della cooperativa, infatti, si era reso irreperibile senza corrispondere al ricorrente la retribuzione, tanto da indurlo a chiedere l’intervento dell’Ispettorato territoriale del lavoro. A quel punto però l’Amministrazione ha rigettato l’istanza di permesso di soggiorno per insufficienza del reddito.

Le motivazioni della sentenza

La questione si segnala per la sua novità non risultando precedenti in termini.

In particolare, la Consulta ha dichiarato inammissibili e infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, co. 4, 5 e 6, del d.l. n. 34 del 2020 (convertito con modificazioni dalla l. n. 77 del 2020), nella parte in cui non prevede che, laddove il rigetto della dichiarazione di emersione sia dovuta esclusivamente a fatti e condotte ascrivibili al datore di lavoro e per di più laddove il rapporto di lavoro abbia avuto un inizio di esecuzione ma si sia interrotto per l’inadempimento datoriale, al lavoratore vada comunque rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione o un altro titolo corrispondente alla situazione lavorativa che l’interessato riesca a comprovare, l’effetto di tale pronuncia nel giudizio a quo è quello di determinare il rigetto del ricorso.

Il Tar per l’Umbria aveva dubitato della legittimità costituzionale della norma, proprio perchè alle fattispecie di emersione ai sensi dell’art. 103 del Dl n. 34/2020 non può applicarsi quanto disposto dal comma 11-bis dell’art. 5 del d.lgs. n. 109/2012 (la c.d. “emersione 2012”), che stabilisce, con riferimento alla sanatoria degli stranieri irregolari ivi disciplinata, che «nei casi in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro, previa verifica da parte dello sportello unico per l’immigrazione della sussistenza del rapporto di lavoro, dimostrata dal pagamento delle somme di cui al comma 5, e del requisito della presenza al 31 dicembre 2011 di cui al comma 1, al lavoratore viene rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione».

Infatti, secondo la giurisprudenza (Tar per la Campania, sez. VI, n. 2026/2022), alla tale previsione - al pari delle norme disciplinanti sanatorie e/o condoni - deve riconoscersi carattere eccezionale e, pertanto, essa non può applicarsi oltre i casi e i tempi da esse considerati.

Secondo il Tar Umbria, tuttavia, il diniego tout court si tradurebbe in un irragionevole pregiudizio per il lavoratore determinato esclusivamente da fatti e condotte ascrivibili al datore di lavoro, non essendo il lavoratore straniero in condizione di verificare se il proprio datore di lavoro sia o meno in possesso del requisito reddituale minimo, per cui egli verrebbe a subire (oltretutto in un momento in cui ha accettato di rivelare all’autorità di P.S. la propria posizione di irregolare) le conseguenze sfavorevoli di una vicenda che attiene esclusivamente alla sfera del datore di lavoro.

Siccome però la Corte costituzionale ha dichiarato le questioni di legittimità in parte inammissibili ed in parte infondate, il Tar non ha potuto fa altro che respingere il ricorso.

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