Penale

Italiana la giurisdizione relativa agli omicidi di migranti sulle imbarcazioni prive di bandiera

La Corte di cassazione ha precisato che la questione deve essere scrutinata alla luce delle previsioni della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale siglata a Palermo nel 2000

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di Pietro Alessio Palumbo

Sussiste la giurisdizione dello Stato italiano per il delitto di omicidio doloso plurimo commesso in alto mare a bordo di imbarcazioni prive di bandiera in danno di migranti trasportati illegalmente in Italia. Ciò in forza del principio di "universalità" della legge penale italiana. Con la sentenza 15556/2022 la Corte di cassazione ha precisato che la questione di giurisdizione in merito al reato commesso in «alto mare» a bordo di nave carica di migranti diretta verso le coste italiane deve essere scrutinata alla luce delle previsioni della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale siglata a Palermo nel 2000.
Quest'ultima stabilisce infatti che laddove i reati siano di natura transazionale e vedano coinvolto un gruppo criminale organizzato, essa si applica all'esercizio dell'azione penale per i "reati gravi". Intendendosi per «reato grave» la condotta che costituisce reato sanzionabile con una pena privativa della libertà personale di almeno quattro anni nel massimo o con una pena più elevata. Ipotesi in cui certamente rientra anche la morte - nella vicenda di ben 220 persone - come conseguenza di altro delitto.
Le disposizioni convenzionali sono applicabili in attuazione della disciplina penalistica che enumera i reati commessi all'estero e punibili in ragione della scelta politica compiuta dal legislatore.

La giurisprudenza in passato ha affermato la giurisdizione italiana in relazione alla commissione in territorio estero di gravi fatti ai danni di cittadini o beni italiani, facendo riferimento proprio alle indicazioni promananti dalle convenzioni internazionali che impegnano l'Italia a combattere e reprimere i cd. delicta juris gentium e, più in generale, al cospetto dei criteri di collegamento volti a estendere il potere giurisdizionale dello Stato italiano. Tale evenienza si verifica anche con riguardo alla Convenzione di Palermo laddove richiede - specificando i criteri di collegamento che determinano l'applicabilità della legge italiana - che si tratti di un «reato grave» che ha avuto effetti sostanziali in Italia. Tali indicazioni normative internazionali non richiedono, infatti, l'adozione di uno strumento attuativo di diritto interno, essendo sufficientemente chiare e direttamente applicabili in presenza dei presupposti riportati dal codice penale.
Non diverse condizioni di applicabilità della legge italiana secondo la Corte di cassazione potevano, del resto, essere introdotte dal legislatore ordinario che ha, quindi, legittimamente dato corso alla procedura di exequatur nella piena consapevolezza del tessuto normativo in cui andava a calarsi la disposizione convenzionale; ritenuta immediatamente applicabile perché dotata di tutti gli elementi necessari a descrivere le condizioni di estensione della giurisdizione dello Stato il quale disponeva già di una norma cornice in grado di fornire piena copertura normativa alla previsione convenzionale che, a sua volta, esplicita in modo chiaro e univoco i criteri di collegamento che determinano la giurisdizione dello Stato.

Da tutto ciò discende che l'applicazione della legge penale italiana al delitto di morte come conseguenza di altro delitto commesso fuori delle acque territoriali italiane trova fondamento nel principio di tendenziale universalità della legge penale italiana secondo il quale la legge penale italiana trova applicazione nei casi stabiliti dal diritto internazionale; come si verifica quando l'autorità militare o di polizia, in adempimento dei doveri e nell'esercizio dei poteri attribuiti dal diritto internazionale, interviene e accerta «in alto mare», cioè al di fuori del territorio di un altro Stato, la commissione di reati a bordo di una nave priva di bandiera.
La possibilità prevista dalla Convenzione di Palermo di estendere la giurisdizione dello Stato in relazione ai reati da essa richiamati, quando il presunto autore si trova sul suo territorio e non lo estrada, introduce infatti una clausola di estensione della giurisdizione italiana che risulta immediatamente applicabile in presenza delle condizioni date dal testo convenzionale. Pur in assenza di un obbligo convenzionale di incriminazione e punizione dei reati previsti, le disposizioni disciplinari prevedono la specifica possibilità, attribuita alla potestà dello Stato, di determinare la propria giurisdizione anche in relazione ai reati previsti dalla Convenzione; senza con ciò condizionare l'operatività di tale facoltà all'adozione di uno specifico, dedicato, intervento attuativo diverso dalla ratifica.
Su questi presupposti il riferimento alla possibilità riconosciuta allo Stato di adottare le misure necessarie per determinare la sua giurisdizione si risolve nel richiamo all'eventuale adeguamento del proprio ordinamento interno per rendere concretamente possibile l'estensione dell'esercizio della giurisdizione ai reati previsti dalla Convenzione. Adeguamento che per gli esposti motivi nel caso dell'ordinamento italiano non è necessario.

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