Iva, la frode grave blocca la prescrizione
Non si interrompe la prescrizione per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false quando l’entità dell’Iva evasa non è rilevantissima e mancano altri elementi a dimostrazione della gravità del comportamento. A fornire questa interpretazione è la Corte di cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 31265 depositata ieri.
Il Tribunale dichiarava il «non doversi procedere» nei confronti dell’amministratore di una società per intervenuta prescrizione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti. Avverso la decisione, proponeva ricorso per Cassazione il Pg eccependo che il giudice territoriale aveva trascurato i principi della Corte di giustizia, secondo i quali per l’evasione in misura «grave» di tributi Iva devono essere disapplicate le disposizioni in materia di prescrizione.
La Suprema Corte ha innanzitutto ricordato che, sino ad oggi, la disapplicazione delle disposizioni in materia di prescrizione dei reati è stata ammessa nelle ipotesi di consistenti condotte fraudolente che comportino in concreto l’evasione in misura grave di Iva. Trova così applicazione la regola secondo la quale il termine ordinario ricomincia a decorrere dopo ogni atto interruttivo. La questione, peraltro, è stata rimessa alla Corte costituzionale dalla Corte di appello di Milano e dalla Cassazione, poiché è stata ravvisata una possibile incostituzionalità nell’applicazione retroattiva all’imputato di una disciplina penale sostanziale sfavorevole.
Nelle more della decisione della Consulta, la Suprema Corte (sentenza 16458/2016) ha precisato che la disapplicazione del termine prescrizionale impone l’esistenza di una «grave frode». Secondo i principi della Corte Ue, occorre cioè che il comportamento adottato sia suscettibile di ledere gli interessi finanziari dell’Unione europea. In assenza di più precise indicazioni della Corte Ue, per l’individuazione della gravità della frode hanno rilievo non solo l’entità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa, ma anche alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e, più in generale, alle modalità dell’azione, nonché all’elemento soggettivo.
Ne consegue che ove non si sia in presenza di un danno di rilevantissima gravità, per milioni di euro, la gravità della frode può e deve essere desunta anche da ulteriori elementi, quali l’organizzazione posta in essere, la partecipazione di più soggetti al fatto, l’utilizzazione di cartiere o società-schermo, l’interposizione di una pluralità di soggetti, la sistematicità delle operazioni fraudolente, la loro reiterazione nel tempo, la connessione con altri gravi reati, l’esistenza di un contesto associativo criminale.
Il giudice deve così valutare caso per caso, la concreta valenza di tali elementi ed indicare nella motivazione quelli ritenuti rilevanti. La Cassazione ha verificato che, nella specie, si trattava di un’unica fattura falsa con un’Iva evasa di poco superiore a 12.000 euro. Valore inferiore alle soglie previste per altri reati con la conseguenza che doveva escludersi la gravità.
Ma l’assenza di gravità era desumibile anche verificando altri elementi. Le modalità di azione, i mezzi utilizzati, i tempi, i luoghi e l’elemento soggettivo non consentivano di classificare il comportamento dell’amministratore come “grave”. Per tale ragione, quindi, i giudici di legittimità hanno ritenuto che correttamente il Tribunale aveva dato rilievo al termine di prescrizione.
Corte di Cassazione - Sezione III penale - Sentenza 31265 del 22 giugno 2017