Civile

L’accordo divorzile «una tantum» non vincola il giudice

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di Giorgio Vaccaro

Il fatto che marito e moglie abbiano raggiunto un accordo per sostituire l’assegno di divorzio stabilito dai giudici di merito con una somma una tantum (come previsto dall’articolo 5, comma 8, della legge 898/1970) non comporta «la cessazione della materia del contendere» nel precedente giudizio, attivato in Cassazione da una delle parti per contestare l’assegno divorzile per mancanza dei presupposti. È questo il principio affermato dalla Cassazione che, con l’ordinanza 3662 del 13 febbraio 2020, ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’appello di Trieste, che aveva riconosciuto il diritto della moglie a ricevere un assegno divorzile sul presupposto del mero «giudizio comparativo delle posizioni economico patrimoniali dei coniugi».

A ricorrere in Cassazione è stato il marito, che ha informato i giudici di aver raggiunto con la moglie un accordo per la corresponsione di una somma in un’unica soluzione e ha quindi chiesto loro di cassare la sentenza d’appello e di decidere nel merito.

La Suprema corte rileva però che «la scrittura prodotta» dal marito «attesta non l’intervenuta definizione della controversia con un accordo negoziale, ma il raggiungimento di un’intesa per chiedere che l’autorità giudiziaria ritenga equa la somma individuata di comune accordo fra le parti e disponga di conseguenza la sostituzione» dell’assegno divorzile «con l'obbligo di corresponsione in suo favore di una somma di danaro una tantum». In questo caso, secondo la Cassazione, ci si trova al cospetto di un accordo che «pone le basi, ma non definisce la lite nel senso voluto dalle parti, poiché le loro determinazioni rimangono comunque soggette a un controllo giudiziale di equità sull’adeguatezza della somma concordemente individuata»; controllo necessario, precisa il collegio, «in ragione delle gravi conseguenze riconnesse a una simile forma di liquidazione (costituite dalla preclusione per il coniuge a favore della quale è disposta di successive richieste economiche)».

Nello svolgere questo controllo giudiziale i giudici hanno ritenuto «persistere l'interesse del ricorrente» a una definizione della lite, che faccia corretta applicazione dei canoni normativi previsti per il riconoscimento dell'assegno divorzile, rivisitati dalle Sezioni Unite con la sentenza 18287/2018.

Occorre quindi tenere conto del principio per cui l'assegno divorzile deve avere una natura composita (assistenziale e perequativa-compensativa) e non meramente assistenziale. Alla luce di questo, il mero richiamo alla comparazione delle posizioni economico-patrimoniali dei coniugi per il riconoscimento dell’assegno, effettuato dalla Corte d’appello è «del tutto estraneo al criterio assistenziale-compensativo» individuato dalle Sezioni Unite della Cassazione.

La Suprema corte cassa quindi la sentenza impugnata. Non procede però alla decisione nel merito, come chiedeva il ricorrente, perché per applicare le regole stabilite dalle Sezioni Unite occorre «l’accertamento di fatti differenti da quelli già acclarati dal giudice di merito». La Cassazione rinvia quindi alla Corte d’appello affinché indaghi non solo l’inadeguatezza dei mezzi della moglie o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, ma effettui anche una «valutazione integrata, incentrata sull’aspetto perequativo-compensativo, fondata sulla comparazione effettiva delle condizioni economico-patrimoniali alla luce delle cause che hanno determinato la situazione attuale di disparità».

Infatti, conclude la Cassazione, il principio fissato dalle Sezioni Unite, che presiede alla solidarietà post coniugale, si applica anche nel caso in cui essa trovi compimento tramite il versamento di un assegno una tantum, dato che il parametro di controllo è costituito dall’idoneità dell'assegno a soddisfare congruamente, anche se in una unica soluzione, le esigenze del coniuge già titolare dell’assegno divorzile.

Cassazione, ordinanza 3662 del 13 febbraio 2020

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