Penale

L'ammissibilità dell'ente al rito della sospensione del procedimento con messa alla prova: un problema tutt'ora irrisolto

A breve distanza dalla pronuncia del Tribunale di Modena che ha dichiarato estinto l'illecito amministrativo nei confronti di una società per esito positivo della messa alla prova, il 15 dicembre 2020 è intervenuta una pronuncia di segno opposto della medesima Corte di Merito.

di Andrea Puccio*

Di recente, il Tribunale di Modena è stato nuovamente investito della valutazione in merito all'applicabilità agli enti – pur nel silenzio del D.Lgs. 231/2001 – dell'istituto remediale della sospensione del procedimento con messa alla prova.

La Corte di merito emiliana, discostandosi parzialmente dall'orientamento giurisprudenziale promosso, dapprima, dal Tribunale di Milano e, in seguito, dall'Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari di Bologna, ha rigettato la richiesta di adesione al rito speciale, argomentando, non tanto, in ordine alla natura prevalentemente sostanziale dell'istituto della probation (modellato sulla figura dell'imputato persona fisica) e, dunque, circa l'impossibilità che lo stesso sia applicato in via analogica all'ente, quanto piuttosto sulla necessità che l'accesso al rito sia condizionato dall'esistenza di un "imprescindibile pre-requisito", consistente nell'adozione, prima del fatto di reato, di un Modello Organizzativo.

La pronuncia in parola, sebbene, a una prima lettura, paia non assumere posizione in merito al rapporto tra la giurisdizione de societate e il rito della messa alla prova, fornisce, in realtà, una lettura interpretativa possibilista dell'istituto, riconoscendone, in via tacita, la compatibilità, nei suoi aspetti sostanziali (oltre che processuali), con la disciplina da reato degli enti.

Pertanto, il Giudice emiliano sembra discostarsi dall'orientamento interpretativo che, da un lato, considera l'istituto di cui all'art. 168bis c.p. modellato esclusivamente sulla figura dell'imputato persona fisica e, dall'altro, ritiene che il lavoro di pubblica utilità nell'ambito della messa alla prova verrebbe snaturato dalla sua esecuzione da parte dell'ente.

In realtà, con tale provvedimento, il Tribunale di merito, individuando, quale pre-requisito imprescindibile per l'accesso all'istituto della messa alla prova, l'adozione, prima del fatto di reato, di un Modello Organizzativo, valorizza la funzione specialpreventiva, ma soprattutto rieducativa dell'istituto medesimo, superando le discussioni che ancorano l'inapplicabilità dell'istituto al volontario silenzio del Legislatore in merito.

Il Modello, nelle argomentazioni del Giudice di merito, assurge a indice di diligenza della persona giuridica, nonché a elemento indispensabile per la prognosi sulla non "pericolosità organizzativa dell'ente", come richiesto dall'art. 464 quater, comma 3, c.p.p. e, dunque, sulla potenziale efficacia del percorso rieducativo dell'ente.

La soluzione individuata dal Tribunale, invero, ha il pregio di valorizzare la peculiarità dell'istituto della messa alla prova, che non può essere equiparato ai meccanismi premiali previsti dal D.Lgs. 231/2001 con precipuo riguardo al trattamento sanzionatorio degli illeciti dell'ente, che ricorrono anche in caso di adozione postuma del Modello.

Peraltro, la previsione di requisiti più stringenti per l'acceso al beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova è coerente con la peculiarità dell'istituto medesimo, che non comporta un mero alleggerimento del trattamento sanzionatorio, ma la fuoriuscita dell'ente dal processo, senza addebito alcuno.

Si auspica che l'orientamento giurisprudenziale testé affermatosi favorisca l'estensione all'ente della normativa di cui agli articoli 464-bis ss. c.p.p., dal momento che l'istituto in parola ha l'indiscusso pregio di attuare una forte ed efficace responsabilizzazione dell'impresa, costituendo un valido incentivo per l'implementazione di adeguati sistemi di compliance programs.

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*Andrea Puccio Founding & Managing Partner Puccio - Penalisti Associati

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