L’atto giudiziario non raddoppia con il Registro
Se in un atto giudiziario vengono enunciati un contratto di finanziamento e una correlata fideiussione, che erano stati assoggettati al regime dell’imposta sostitutiva di cui agli articoli 15 e seguenti del Dpr 601/1973, detta enunciazione non comporta l’applicazione dell’imposta di registro ai contratti enunciati.
Così ha deciso la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 17938 depositata ieri.
I contratti di finanziamento a medio-lungo termine concessi da banche e altri intermediari finanziari sono soggetti all’imposta sostitutiva, di regola pari allo 0,25 per cento dell’importo erogato; l’imposta sostitutiva “copre” ogni imposta dovuta per il contratto di finanziamento, per le garanzie a esso connesse e per tutte le operazioni “a valle”: ad esempio, cessioni di crediti e di contratti, surroghe, postergazioni, restrizioni, cancellazioni ecc.
Un problema peculiare si pone in ordine alle operazioni di finanziamento che siano oggetto di un contenzioso giurisdizionale, in quanto l’articolo 15, comma 2, del Dpr 601/1973 afferma che «gli atti giudiziari relativi alle operazioni» di finanziamento «sono soggetti alle suddette imposte secondo il regime ordinario».
La norma in questione è stata emanata per significare che l’atto giudiziario (si pensi a un decreto ingiuntivo) resta soggetto alla sua propria tassazione, senza essere “assorbito” anch’esso nel perimetro applicativo dell’imposta sostitutiva.
Il tema è che l’atto giudiziario, a sua volta, inevitabilmente enuncia le attività negoziali cui esso si riferisce: ad esempio, un decreto ingiuntivo relativo alla mancata restituzione di un finanziamento e alla escussione della relativa fideiussione, evidentemente non può che enunciare il contratto di finanziamento e il contratto di fideiussione.
Allora, dato che nella normativa in tema di imposta di registro vi è una regola (l’articolo 22 del Dpr 131/1986) per la quale la tassazione dell’atto enunciante (nel nostro caso il decreto ingiuntivo) comporta, ricorrendo determinati presupposti, la tassazione dell’atto enunciato (nell’esempio il contratto di finanziamento e la fideiussione) la questione è se valga o meno il seguente sillogismo: se l’atto giudiziario è sottratto all’imposta sostitutiva, allora quando esso enuncia un contratto in origine soggetto a imposta sostitutiva, anche questo contratto si sottrae all’imposta sostitutiva e deve essere tassato con l’imposta di registro (con la conseguenza che, ad esempio, il contratto di finanziamento dovrebbe scontare l’imposta di registro fissa per alternatività con l’Iva mentre alla fideiussione dovrebbe essere applicata l’aliquota dello 0,5 per cento sull’importo garantito).
Nel caso giunto al vaglio della Corte di cassazione le corti territoriali avevano dunque entrambe deciso nel senso che l’enunciazione contenuta nell’atto giudiziario disattiva lo “scudo” dell’imposta sostitutiva e comporta la tassazione degli atti enunciati, anche se in origine “protetti” dall’imposta sostitutiva.
La Corte di cassazione sconfessa però questa idea: la regola della tassazione degli atti enunciati non vale nel caso degli atti esenti e degli atti soggetti a imposta sostitutiva i quali, altrimenti, sarebbero paradossalmente tassati due volte (e, quindi, in misura addirittura maggiore rispetto a quelli non agevolati): dapprima con l’imposta sostitutiva e poi con l’imposta di registro, a causa dell’enunciazione.
Corte di cassazione – Ordinanza 17938/2019