L'avvocato che vuole agire contro il cliente deve sempre rinunciare al mandato
Il CNF afferma che anche per la presentazione dell'istanza di parere di congruità all'ordine, se l'intenzione è quella di proporre azione giudiziaria nei confronti del cliente, occorre prima rinunciare al mandato
L'avvocato che intenda agire contro il proprio cliente deve sempre rinunciare al mandato, perché si tratta dell'unico modo per rimuovere qualunque situazione di incompatibilità esistente e non incorrere in illeciti disciplinari. È quanto afferma il Consiglio nazionale Forense nel parere n. 34/2022 reso sul quesito posto dal COA di Ancona.
Il quesito del COA di Ancona
Nello specifico, l'ordine di Ancona, nel premettere che l'articolo 34 del Codice deontologico Forense stabilisce il divieto, per l'avvocato, di agire nei confronti del proprio cliente per il pagamento dell'attività professionale svolta, senza aver prima rinunciato a tutti gli incarichi ricevuti, chiedeva al Consiglio "se la presentazione dell'istanza di parere di congruità della parcella da parte di un avvocato che sia ancora difensore di ufficio del debitore (segnatamente nelle more tra il decreto che dispone il giudizio e la prima udienza dibattimentale) essendo prodromica all'azione giudiziaria per recuperare il credito" non violasse indirettamente l'articolo 34. Chiedeva, altresì, se oltre alla violazione del suddetto precetto, potesse configurarsi anche quella di cui all'articolo 24 poiché in tal modo "l'avvocato - si poneva - volontariamente in una situazione di conflitto di interesse con la parte assistita officiosamente".
Cosa dice l'articolo 34 CDF
L'articolo 34 (Azione contro il cliente e la parte assistita per il pagamento del compenso) del vigente Codice deontologico forense, come noto, premetto il CNF, stabilisce al comma 1 che "L'avvocato, per agire giudizialmente nei confronti del cliente o della parte assistita per il pagamento delle proprie prestazioni professionali, deve rinunciare a tutti gli incarichi ricevuti".
L'illecito in parola si configura ogni qualvolta l'avvocato intenti un'azione giudiziaria contro il proprio cliente "senza aver preventivamente rinunciato al mandato alle liti, e quindi senza aver evitato, con l'unico mezzo possibile, qualsiasi situazione d'incompatibilità esistente tra mandato professionale e contemporanea pendenza della lite promossa contro il proprio assistito" (cfr., ex multis, CNF, n. 38/2018).
Il parere del CNF
Fatte queste premesse, il CNF afferma che l'ambito di applicazione della previsione è strettamente quello giudiziario e non è possibile estenderne la portata anche al caso della presentazione dell'istanza di parere di congruità della parcella da parte di un avvocato che sia ancora difensore di ufficio del debitore (cliente o parte assistita).
Tuttavia, continua il Consiglio, riportandosi alla giurisprudenza pregressa, è stato affermato in plurime occasioni in passato che l'avvocato che agisca contro l'assistito per il recupero di un proprio credito professionale, senza avere previamente rinunciato al mandato, viola l'articolo 34 CDF (cfr., ex multis, CNF n. 164/2018). Per cui, in linea generale, deduce il CNF, "ove l'avvocato alla istanza di parere di congruità intenda far conseguire un'azione giudiziaria nei confronti del cliente, deve rinunciare al mandato ai sensi dell'art. 32 del CDF".
Queste considerazioni assorbono anche il quesito sulla eventuale sussistenza del conflitto di interesse, anche solo potenziale, giacchè "la rinuncia – conclude il Consiglio - è l'unico mezzo possibile a rimuovere qualunque situazione d'incompatibilità esistente tra mandato professionale e contemporanea pendenza della lite promossa contro il proprio cliente o la parte assistita, ferma restando, nel caso della difesa d'ufficio, l'osservanza dell'articolo 97 del codice di procedura penale e, in particolare, del suo quinto comma".