Civile

L’emissione di azioni a voto plurimo scuote il mondo delle società

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di Claudia Tedeschi *

L’ondata di novità legislative che nel 2014 ha investito il diritto societario ha consentito, tra l'altro, l'emissione di azioni a voto plurimo, con ciò superando il principio one share, one vote e scardinando il sistema basato sulla proporzionalità tra il rischio del socio, collegato a quanto investito, e il suo potere di incidere sulle decisioni sociali.

Le novità introdotte dal legislatore - Il Dl 91/2014, convertito in legge 116/2014, modificando l’articolo 2351, comma 4 del codice civile, ha, infatti, stabilito che, salvo quanto previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni con diritto di voto plurimo anche per particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Ciascuna azione a voto plurimo può attribuire fino a un massimo di tre voti.
Contestualmente, lo stesso decreto ha introdotto nel Tuf l’articolo 127- sexies, comma 1, secondo il quale, in deroga all’articolo 2351, comma 4, del codice civile, gli statuti delle società quotate non possono prevedere l'emissione di azioni a voto plurimo, salva l'ipotesi di società che le abbiano emesse prima della quotazione.

Una nuova categoria di azioni - In via generale, perciò, le azione a voto plurimo rappresentano una nuova categoria di azioni consentita solo per le società chiuse e per quelle aperte ai mercati, ma non quotate. Tuttavia, nel caso in cui ad aspirare alla quotazione siano società che negoziano partecipazioni in mercati regolamentati, queste possono mantenere le azioni a voto plurimo emesse prima dell'inizio delle negoziazioni, conservandone le caratteristiche e i diritti. Inoltre, per consentire alle medesime società, una volta quotate, di mantenere invariato il rapporto tra le diverse categorie di azioni, si permette l'emissione di nuove azioni a voto plurimo, sia pur limitatamente ai casi di aumento gratuito di capitale, di aumento a pagamento senza esclusione o limitazione del diritto di opzione, di fusione o di scissione (articolo 127-sexies, comma 2, Tuf).

Con il voto plurimo, modificando il peso di ciascuna azione e, conseguentemente, rafforzando la posizione del socio, si è voluto favorire la raccolta del capitale di rischio e gli investimenti azionari. La previsione, allora, appare particolarmente utile alle piccole e medie imprese a struttura familiare - che sono la maggioranza in Italia - in quanto garantisce il permanere del controllo in mano alla famiglia, ma nello stesso tempo permette all'impresa di aprirsi al mercato del capitale di rischio. Con l'aumento del potere, la minoranza potrà incidere sulle deliberazioni assembleari con una percentuale di capitale che nella prospettiva che riconosce un voto ad ogni azione non sarebbe stato sufficiente a raggiungere la maggioranza necessaria.

Le conseguenze applicative - Dall'introduzione delle azioni a voto plurimo scaturiscono, tuttavia, alcuni problemi applicativi tra i quali quelli concernenti il diritto di recesso.
Va distinta, a tale proposito, l’ipotesi in cui l'emissione di azioni a voto plurimo avviene al momento della costituzione della società o in un momento successivo, ma è, comunque, prevista una clausola statutaria fin dalla costituzione, da quella in cui l’emissione viene consentita con l'introduzione di una clausola che modifica lo statuto.
Nel primo caso non sussistono particolari problemi perché i soci accettano fin dall'inizio una eventuale posizione differenziata in capo ad alcuni di loro e perciò non è necessario riconoscere il diritto di recesso.

Diversa è l'ipotesi in cui l’assemblea straordinaria (che, in virtù di una disciplina transitoria, relativa a società iscritte nel registro delle imprese a 31 agosto 2014, delibera, anche in prima convocazione, con voto favorevole di almeno due terzi del capitale rappresentato in assemblea) decida di modificare lo statuto, introducendo una clausola che consente l'emissione di azioni a voto plurimo. Si discute già in dottrina se tale deliberazione debba comportare il riconoscimento del diritto di recesso in capo a coloro che non hanno concorso alla sua approvazione. E l’alternativa, che si porrà in sede giurisdizionale, sarà tra il ritenere che ci si trovi davanti ad un'ipotesi che riguarda solo le modalità di ripartizione del diritto di voto (al pari di quella che consente l’emissione di azioni senza diritto di voto e che non attribuisce il diritto di recesso); e il considerare che l'introduzione delle azioni a voto plurimo rappresenti una rilevante alterazione delle regole organizzative del diritto di voto, tale da rientrare tra le previsioni che consentono il recesso.

* Associato di Diritto commerciale nell’università di Foggia e coordinatore delle attività scientifiche dell’Igs

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