Famiglia

L'ex coniuge beneficia della pensione reversibilità solo se era già titolare dell'assegno divorzile

Per la Corte di appello di Torino non è sufficiente la circostanza che il richiedente versasse nelle condizioni per ottenere l’assegno e neppure che, in via di fatto, il medesimo avesse ricevuto regolari erogazioni economiche dal de cuius quando questi era in vita

di Andrea Alberto Moramarco

In tema di separazione e divorzio, se il coniuge obbligato al mantenimento decede, la pensione di reversibilità si sostituisce all’assegno divorzile, a condizione però che quest’ultimo sia stato riconosciuto al momento della pronuncia dello scioglimento del matrimonio, ovvero in sede di revisione delle disposizioni relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere. In caso contrario, ad esempio se la morte del coniuge obbligato al mantenimento giunga prima della sentenza definitiva del giudizio di divorzio, non sussiste il presupposto per la concessione della pensione di reversibilità. Questo è quanto affermato dalla sentenza della Corte d’appello di Torino n. 269/2021 che ha ritenuto non sufficiente la circostanza che il richiedente versasse nelle condizioni per ottenere l’assegno divorzile e neppure che, in via di fatto, il medesimo avesse ricevuto regolari erogazioni economiche dal de cuius quando questi era in vita.

Il caso
La vicenda riguarda una donna sposata con un uomo dal 2002 e dal quale si era separata nel 2013. Nel 2018 i due coniugi intraprendevano il giudizio di divorzio nel corso del quale, in sede di assunzioni dei provvedimenti presidenziali, veniva confermato il contributo di mantenimento già disposto in fase di separazione. Con sentenza non definitiva il Tribunale dichiarava lo scioglimento del matrimonio rimettendo la causa in istruttoria per la decisione delle ulteriori questioni, senza adottare alcuna decisione sugli aspetti patrimoniali, né tantomeno sull’assegno divorzile. Sopraggiungeva poi la morte del marito, sicché il giudizio si concludeva la declaratoria di cessazione della materia del contendere, poiché la moglie non chiedeva la prosecuzione del giudizio per l’accertamento del diritto all’assegno divorzile.

In seguito, quest’ultima adiva l’autorità giudiziaria chiedendo di beneficiare della pensione di reversibilità, ritenuto che «la titolarità di una prestazione periodica concreta ed attuale percepita prima del decesso del coniuge, per ragioni di equità imponeva al giudice di accertare la sussistenza dei requisiti per la concessione dell’assegno divorzile e, conseguentemente, per l’erogazione da parte dell’INPS della pensione di reversibilità».

Necessaria la titolarità concreta dell’assegno
Come già in primo grado, anche la Corte d’appello respinge la tesi della signora, non bastando la titolarità dell’assegno riconosciutole in sede di omologa delle condizioni di separazione ad ottenere la pensione di reversibilità. Per beneficiare, infatti, della suddetta pensione occorre che l’assegno divorzile sia «concretamente fruito», posto che il tenore letterale dell’articolo 9 della legge n. 898/1970 rende «evidente l’indefettibilità della concreta percezione dell’assegno liquidato nell’ambito del giudizio di divorzio». In altri termini, sottolinea il Collegio, per trasformare l’assegno divorzile in pensione di reversibilità la norma impone che vi sia stato «l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del Tribunale», non essendo invece sufficiente che il richiedente versi nelle condizioni per ottenere l’assegno. Il diritto alla pensione di reversibilità, infatti, non è inerente alla semplice qualità di ex coniuge, ma «ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarità attuale dell’assegno».

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