Civile

L’impresa cessata «di fatto» deve pagare il diritto camerale

immagine non disponibile

di Paola Maria Zerman

La cessazione di fatto dell’attività dell’impresa non esclude l’obbligo del pagamento del diritto camerale annuale, previsto dall’articolo 18, comma 3, della legge 580/93. L’obbligo di versare il tributo, infatti, deriva dalla mera iscrizione nel Registro delle imprese, con conseguente irrilevanza di ogni cessazione di fatto di attività di impresa.

Lo ha stabilito la Ctp di Caltanisetta (presidente Monteleone, relatore Porracciolo), nella pronuncia 1122/01/2017 depositata il 30 ottobre 2017, con cui ha respinto il ricorso dell’imprenditore cessato contro le cartelle di pagamento del tributo. Poiché di tributo si tratta – compreso quindi nella giurisdizione delle commissioni tributarie – grazie all’ampia formulazione dell’articolo 2 del Dlgs 546/92 che richiama anche le liti riguardanti «tributi di ogni genere e specie comunque denominati», contraddistinti dall’obbligo di versamento, ivi compresa la tassa dei diritti annuali alle Camere di commercio (Cassazione, ordinanza a Sezioni unite 1782/2011).

I soggetti passivi
Il pagamento del diritto camerale grava, in qualità di soggetto passivo, su ogni «impresa iscritta o annotata» nel Registro delle imprese (articolo 2 del Dm 359/2001).

Il collegamento operato dal legislatore tra il pagamento del diritto camerale e l’iscrizione nel Registro non è scevro da dubbi di carattere applicativo, in ragione dell’intrecciarsi di una disciplina di rilievo pubblicistico con le autonome scelte dell’imprenditore. Il Registro svolge una funzione essenziale di tutela della certezza e la trasparenza nei traffici commerciali in relazione alle vicende dell’impresa individuale e collettiva. Tutela dell’affidamento dei terzi che prevale anche sulla privacy e sul diritto all’oblio, come di recente ritenuto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza del 9 marzo 2017), sulla questione pregiudiziale sollevata dalla Cassazione (ordinanza 15096/2015, poi decisa con sentenza 19761 del 9 agosto 2017): il caso riguardava il ricorso – poi rigettato – di un imprenditore, che si vedeva pregiudicata l’affidabilità in ragione della permanente iscrizione di un vecchio fallimento.

La finalità pubblicistica del Registro – la cui tenuta è sottoposta alla vigilanza di un giudice delegato dal tribunale – sembra valorizzare il dato formale dell’iscrizione e della cancellazione, precludendo una visione sostanzialistica che associa l’estinzione del tributo alla cessazione di fatto dell’attività.

Cancellazione d’ufficio
Peraltro la cancellazione d’ufficio è prevista nei soli casi indicati dal Dpr 247/2004 in relazione a obbiettive impossibilità di funzionamento dell’impresa individuale o delle società di persone, ma non può mai aver luogo per le società di capitali (si veda la Cassazione 9007/2014 tra i rari precedenti) in seguito all’approvazione del bilancio di liquidazione. E ciò a motivo dell’effetto costitutivo conseguente alla cancellazione con la conseguente disciplina relativa ai debiti pendenti (articolo 2495 del Codice civile). Nei quali casi non può mai porsi in dubbio, fino alla formale cancellazione, l’obbligo di versare del tributo.

Ctp Caltanissetta 1122/01/2017

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©